Iper gentili ipo ridenti le avevano affittato la casa affianco alla loro, con i terrazzi comunicanti, lasciandogliela in condizioni peggiori della discarica di una favelas. Li aveva giudicati per un'intera settimana come falsi, opportunisti e mediocri ed era stato facile. Detestare non è mai un'impresa titanica. Ma poi di domenica, dopo quei sette giorni assurdi, ecco che dopo pranzo - avevano invitato gente, lei li aveva sentiti mentre pelava le patate - iniziarono a suonare la fisarmonica.
Cercava di essere indifferente e quando si insinuava un po' di tenerezza in quel proponimento duro di distacco lei tentava di tornare indietro a qualche giorno prima, provava a figurarseli come mostri. La feriva la consapevolezza della sua distorsione personalissima dei fatti: la prospettiva che ora cedeva e glieli mostrava come semplici persone con difetti. No, questo poi. Difetti un corno. Scorrettezze, ecco, scorrettezze.
E mentre correggeva il tiro la fisarmonica, che si era interrotta poco prima, riprese a distendersi in quella prima domenica d'ottobre milanese, fredda col sole. Come si permettevano di disarmarla così? Perché in fondo ciò che più sempre le dispiaceva era aver speso una gran quantità di tempo a covare una passione che poi, dopo, si rivelava inutile.
La rabbia ora evaporava con l'acqua di scolo delle patate lesse e andava a formare una patina evanescente sui mobili nella stanza, un giro di palpebre e già non la si trovava più. Un patema d'animo effimero, stando ai fatti. Quindi era impossibile provare sentimenti duraturi? Tutto si risolveva in trascoloramento emotivo dall'acuto al piatto? Perciò la vita, in genere - e mentre pensava questo si appoggiava al frigo, vicino al muro da cui arrivava meglio il suono - la vita era questa deca dance di avvenimenti emotivi nell'attesa che si presentasse qualcosa che non si disperdeva, fosse anche solo dolore, purché vero. Non sapeva cosa restasse di tutto quello sconvolgimento interiore, cosa attaccasse le sue cavità. Come se avesse bisogno che tutta quell'acqua non evaporasse e facesse, invece, condensa e muffa fermandosi al soffitto. Non poteva permettere che anche la vitalità della scorsa settimana, fosse pure l'odio, si dileguasse così, stavolta al primo accenno di musica. Allora si rifissò sui ricordi recenti degli ultimi giorni, sulla polvere e la sporcizia e lo schifo che aveva dovuto pulire via. Non era giusto che ora loro festeggiassero quando lei, lontana da casa, senza alcun aiuto se non telefonico di supporto, aveva affrontato il lavoro di un'impresa di pulizie.
Questo, lo scotto subito, la ristorò momentaneamente nell'ira. Ma ripresero la fisarmonica e lei poteva immaginare il dondolio delle gambe, le braccia larghe ad accogliere lo strumento, una persona di spalle sullo sgabello e un coro, chi col bicchiere in mano, chi fumando, tutti ridendo, intorno. E quella melodia - dio che palle, perché? - era uguale identica precisa sputata a quella della fisarmonica del signore vicino casa, al suo paese, che suonava solo di domenica. Era morto da qualche anno, ma la domenica aveva sempre un suono ovunque lei fosse e sempre le arrivava come il suono di una fisarmonica. Perciò ora, lì, loro, su una terrazza a Tortona: uno sparo inatteso d'infanzia.
Uscì sul terrazzo ad ascoltare.