«Una luce simile all’arcobaleno, ma di tutte le tonalità del grigio, tiene insieme la circonferenza del Cielo; alle estremità è sospeso il fuso della Necessità. Il fusaiolo è formato da otto vasi concentrici, messi uno dentro l’altro, ruotanti in direzioni opposte sull’asse del fuso.
Il primo è un grande vaso bianco.
Il secondo è un vaso dal lungo collo blu.
Il terzo è un vaso di fiori a strisce rosa e azzurre.
Il quarto è una brocca, giallo-cadmio.
Il quinto è un imbuto montato su una scatola quadrata.
Il sesto è una ciotola marrone.
Il settimo contiene un cardo e un papavero.
L’ottavo è una matrioska.
Su ogni cerchio sta una Sirena, che emette una nota: le Sirene insieme producono ruotando un’armonia».
Il Maestro teneva una lezione di astronomia pur essendo affaccendato in tutt’altro: stava mettendo a punto l’attrezzatura per l’esperimento su Jay. Lui e la compagnia erano in una palazzina a vetri specchianti ai confini del lungomare. Dentro smanettavano un centinaio di giovani designer, programmatori, ingegneri della customer experience. Il segno che ad Ariminum stava crescendo una nuova architettura nell’area fuori dal centro, che assomigliava alle rovine Maya di Tikal in Guatemala.
Il Capitano spesso lamentava quanto il cuore stanco della metropoli battesse lontano dalla definizione di “città” data nell’edizione del Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo, che custodiva sui piani appesi di una libreria Veliero, nel vano della nave pirata adibito a biblioteca e cabinet of curiosities – insieme a mappe, carte, rilievi di ogni tipo, la riproduzione del (Blue) Moby Dick di Jackson Pollock, una copia de Il mondo come labirinto di Gustav René Hocke. La sapeva a memoria: “luogo cinto da mura la cui costruzione non è affidata all’anarchia del caso e in cui vivono persone che si sottopongono alle medesime leggi”.
Nella vecchia Ariminum parcheggi, parchi, ospedali, uffici, strutture per lo sport, svincoli, ponti, strade sembravano non sottostare ad alcun piano regolatore, avendo un unico tratto comune: essere costruiti a metà, rimanendo sempre inconclusi. Lasciavano solo intuire la Bellezza di ciò che avrebbe potuto essere – la Bellezza di capolavori come la Pietà Rondanini di Michelangelo, Il castello di Kafka, le Lezioni americane di Calvino, il Ritratto di Ria Munk Numero Tre di Klimt o l’Esegesi di P.K. Dick.
Il centro e la periferia avrebbero potuto simboleggiare le due strategie di sopravvivenza dell’umanità: resistenza e resilienza. La prima consiste nel rafforzare ogni parte in modo che non si rompa, in una continua tensione a costruire, rattoppare, aggiungere pezzi, rifletteva il Maestro.
La seconda opzione sta nel diversificare, in modo che, anche se una parte s’infrange, l’intero è in grado di funzionare. Questa sembrava essere la scelta dell’anima periferica di Ariminum. Un’anima griffata. Qui sempre più rapidamente stavano spuntando i nomi di Marcel Breuer, Kilian Ignaz Dientzenhofer, Jean-Marc Sandrolini. Cino Zucchi aveva costruito in riva al mare il nuovo magazzino automatizzato di Amazon, denominato Foglie d’erba, per via delle lamelle verticali sulle pareti che cambiavano colore al variare della luce. Moreau Kusunoki stava gettando le fondamenta del nuovo Guggenheim ai piedi delle colline – chiamate The Elephant Cliff and His Seven Blind Mice, perché la più grande sembrava un elefante, in equilibrio su un precipizio a strapiombo sul mare, che barriva alzando al Cielo la proboscide, e le più piccole la fila ondulata di cattivissimi topolini nati ciechi al suo inseguimento.
Dalla cima del Cliff la libreria The Eye – per la sfera che dominava la hall curvilinea sotto il sopracciglio formato da due martelli rossi e neri incrociati come nel film The Wall – scrutava le strutture delle archistar che spuntavano nella distesa colorata delle cabine mobili da spiaggia, dei capanni dei bagnini, dei baretti dove si mangiava piadina a poco prezzo e dei lussuosi ristoranti fusion – il Ferramenta che proponeva tagli di carne prelibati, il Novecento con i suoi remix della cucina romagnola, il Mier, un concept place in stile Anni Cinquanta o il rustico-chic Agrofficina.
Talvolta, nei giorni di pioggia, s’intravedeva la Saint Mark’s Tower, la Torre Fantasma di Frank Lloyd Wright, copia postmoderna di quella che, secondo l’antica mitologia ariminense, era stata distrutta da Dio.
Il Maestro pensava a tutto questo muovendo due dita sullo schermo del dispositivo iOS come se stesse agendo su una manopola. Tramite la app collegata al rotore messo nel mezzo di un macchinario costellato di led, spie, indicatori di potenza, anemometri, misuratori di pressione, rivelatori di particelle e altri strumenti, ne posizionò l’indicatore su uno dei ventisette spicchi in cui era suddiviso.
Ciascuno corrispondeva a una delle emozioni umane di base – rabbia, paura, tristezza, ansia, imbarazzo, noia, invidia (alcune indicate in dialetto: abhiman, garnadòun, Schadenfreude...). Lo puntò su “amore romantico”. Premette un bottone. I grandi schermi appoggiati alle pareti si accesero e cominciarono a mandare in loop migliaia di videoclip, della durata da cinque a dieci secondi, con situazioni a forte carattere emotivo: baci, matrimoni, nascite, scenette comiche, posti lugubri, serpenti, disastri naturali, gesti goffi. Fatto questo, si avvicinò a uno scaffale stracolmo di boccette colorate e ne prese in mano una su cui era scritta la parola Agrimony.
«Insomma queste sirene: sono o non sono… cam dit voialter, come dite voialtri… lesbiche?» domandò il Custode, prima di andare a fare un giro di controllo.
«Se la tua fidanzata è una ragazza sei a posto:
portala a casa con qualsiasi mezzo.
È ottima servita con le verdure,
ma ricordati che non sopporta l’aglio». Jay da qualche minuto si esprimeva in un modo oscuro.
«Che diavolo sta farneticando? Grida terrorizzato come quando si scopre un incendio, di notte e per negligenza, nel centro di Ariminum».
Alle parole di Earnest gli altri rimasero interdetti. Cosa intendeva dire, di preciso? Che l’incendio si era propagato per negligenza o perché, essendosi sviluppato nella notte, non c’era nessuno pronto a spegnerlo? O che l’incendio era stato scoperto in quanto risaltava sul buio della notte e c’erano persone oziose (negligenti) che lo videro? E parlava di un incendio generico, o si riferiva a quello del locale spazzatura dove erano stati trovati resti umani carbonizzati?
Come al solito, con il Pescivendolo era impossibile avere una conversazione. Capire quello che intendeva dire era una vera missione impossibile. Se qualcuno gli esponeva un argomento lui diceva, in dialetto, «I see your point», comprendo il tuo punto di vista: in realtà, era probabile che gli stesse dando del perfetto imbecille.
Il Maestro non si fece confondere e riportò tutti a quanto stava accadendo. «Sta visualizzando le sue emozioni. È una reazione normale quando si mettono in un Tomografo computerizzato persone che stanno vivendo un intenso innamoramento, per studiarne il cervello».
Il Tomografo, da cui sbucava la testa di Jay, era una scatola d’acciaio sospesa in aria, sostenuta da un braccio meccanico e collegata ad altre scatole e braccia. L’insieme era simile alla giostra panoramica di un Luna Park.
«Che procedura hai seguito?». La curiosità era sorta nel Capitano, che amava fare esperimenti di BPR (Brain Process Reengineering) con un Tomografo di Pet tascabile, ma era un dilettante. In genere procurava danni irreparabili ai circuiti neuronali di chi si sottoponeva alle sue sperimentazioni. Per fortuna si trattava pressoché esclusivamente dei marinai della Ciurma.
«Mi sembra diversa da quella che hai seguito con il JubJub qualche giorno fa. Anzitutto, non avevi usato quei paranchi da squartamento che comprendono il fascio di bozzelli in cui hai avvolto il ragazzo e che hai issato come alla coffa dell’albero maestro di una nave, legandolo al muro portante».
«Nel caso del JubJub ho analizzato le strutture contenute all’interno del cranio, che presentano modificazioni in diverse aree come la corteccia temporale, il corpo calloso e lo strato piramidale interno. Il grande sviluppo di due funzioni chiave, l’abilità motoria e la memoria a lungo termine, indica che ha il cervello di un musicista».
«Invece, cosa stai facendo a Jay?».
«Eseguo il protocollo standard per la verifica del livello di innamoramento, che consiste in primo luogo nel sottoporre i soggetti a uno stimolo collegato all’amore romantico».
«Poi cosa succede?».
«L’esperimento dura quarantadue minuti. L’innamorato sta nella macchina dopo avere bevuto ventisette gocce di Agrimony; al di sopra dei suoi occhi viene collocato uno specchio verso il quale è rivolta la telecamera. I soggetti guardano per trenta secondi l’immagine della persona amata, quindi fissano per trenta secondi un’immagine neutrale. Si sovrappongono le scansioni cerebrali dell’immagine positiva a quelle dell’immagine neutrale. Ora abbiamo davanti a noi il cervello dell’innamorato, sotto forma di figura geometrica, bi, tri o quadridimensionale, a seconda dei casi. Questa procedura è necessaria, dato che il cervello non possiede immagini di sé, né è possibile comprenderne la configurazione tramite la semplice osservazione del volto umano, in grado di mascherare intuizioni recondite e segrete macchinazioni».
«There’s no art to find the mind’s construction in the face». Il Custode si era affacciato da una finestra aperta. Terminato il giro di ispezione intorno all’edificio, si era fermato ad ascoltare la lezione prima di avviarsi verso la zona delle cabine mobili per completare la ricognizione del perimetro interessato all’esperimento. E il Pescivendolo aggiunse: «Omnes vultus habet the mark of the mask».
«Infatti. In base quindi all’assunto secondo cui il cervello può essere compreso solo tramite grafici che poggiano su valori numerici, confrontiamo la figura che abbiamo ottenuto con quelle scaturite da simulazioni svolte sui personaggi dei più famosi romanzi d’amore – ma anche film, fiction televisive, drammi teatrali, graphic novel, manga, videogiochi, eccetera».
«Un attimo, un attimo di attenzione!
Come realizzi ogni simulazione?». Anche il JubJub desiderava saperne di più.
«Attraverso una macchina quantistica che – pur non essendo una di quelle neuromorfe, di cui ci ha parlato Ed l’altra sera… A proposito, dove si è ficcato?».
Nessuno dei presenti fu in grado di rispondergli. Il Maestro riprese a parlare. «La macchina, dicevo, è capace di elaborare con una sola operazione un numero di dati pari agli atomi presenti nell’Universo. Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio, insieme a Cariclea e Teagene delle Etiopiche, hanno fornito la base per la definizione dell’asintoto che connota la coppia esemplare, fedele fino alla morte; su Erec et Enide di Chrétien de Troyes è stato costruito l’integrale della coppia legittima, che a sua volta ha prodotto la derivata della deviazione dai doveri sociali che corrisponde al profilo psicologico di Enea e Didone per arrivare a quello criminale di Frank e Cora del Postino suona sempre due volte; il disegno dell’amore provvisorio coincide con una gaussiana su cui si collocano i rapporti incantati tessuti nell’Orlando Innamorato; l’infatuazione narcisistica è dedotta dalla mappa degli spostamenti di Calloandro nel testo di Marini; il diagramma d’onda dell’amore mistico, indicato con l’espressione ariminense “blood type”, è ricavato dalle versioni dell’Annunciazione nei Vangeli Gnostici: la rete neurale dell’amore romantico è stata tracciata in base ai Big Data collazionati in Romeo e Giulietta e negli innumerevoli tentativi di imitazione, da Love Story in giù; nei Promessi sposi, nei fumetti di Minnie con Topolino e nei telefilm degli Anni Sessanta è stata trovata l’equazione di un innamoramento che omette i sentimenti. E il sesso».
«E il disegno complicatissimo laggiù in fondo?». Ed, sbucato all’improvviso da chissà dove, puntò un pennarello verso la figura geometrica alle spalle del Maestro, che copriva l’intera parete. Costituita da centoventi poliedri da dodici facce, si presentava come una forma quadridimensionale con milleduecento bordi, seicento vertici e settecentoventi facce pentagonali.
«Ah, certo! Manon Lescaut ha costituito la base per tracciare il passaggio dalla reciprocità amorosa alla sua asimmetria (da un lato la dipendenza di De Grieux da Manon e dall’altro quella di Manon dai piaceri), che conduce, attraverso le fauci del dodecaplex lì rappresentato – simile al Portale della Pazzia lovecraftiano e chiamato pure iperdodecaedro, centoventi-cell o hecatonicosachoron…».
«Ancora più lovecraftiano!».
«Appunto… conduce, dicevo, alle ricchissime tipologie dell’amore infelice, le quali, a loro volta, danno vita a una geometria delle relazioni sempre più complessa: pensiamo agli esempi che vanno dal Sogno di una notte di mezz’estate fino alle Affinità elettive passando per Le relazioni pericolose e arrivano a sconfinare nella depressione suicida dei giovani Werther o Jacopo Ortis, nella mania ossessiva come quella che affligge Il Grande Gatsby, o in altre patologie: pensiamo all’opera di Sade, ma pure a Pierre o delle Ambiguità di Melville, che tocca il tema classico dell’incesto, sviluppato anche in serie tv come Poble Nou, o alla pederastia di Lolita. Interessante notare che queste declinazioni dell’amore tradotte in immagini generano dei frattali, ovvero figure caratterizzate dal ripetersi sino all’infinito di uno motivo su scala sempre più ridotta».
«E quel cubo fosforescente?».
«La mancanza di spontaneità nel desiderio rappresentata in forma esemplare, ça va sans dire, da Madame Bovary, viene raffigurata attraverso un Tesseract incandescente».
«Proprio come il MacGuffin blu in The Avengers o quello che racchiude il segreto dei viaggi più veloci della luce nel romanzo Nelle pieghe del tempo!». Il Piccolo Ed batté le mani per l’entusiasmo.
«Esatto, anche se il Tesseract è solo la versione quadridimensionale di un cubo, come hai notato, che Escher ha reso in maniera impareggiabile».