Terzo capitolo.
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Come ormai sappiamo, uscito dal camino con pigre volute di fumo, Ismaele si era disperso nella giornata serena.
O meglio, no. “Disperso” non era la parola giusta. Diciamo che lo sciame di particelle, in cui si era trasformato, si era come allentato, espanso. Era diventato una nuvola di luci, sempre più rarefatta e grande al passare delle ore. I fili che legavano le luci si erano liberamente allentati, allungati senza limiti.
E volava; ogni parte di lui volava.
Lo aveva sempre sognato, desiderato, immaginato. Ora poteva farlo. Così aveva continuato a salire piano piano finché si aveva incontrato una corrente orizzontale.
Allora il vento aveva cominciato a trasportarlo. Come una nuvola bianca in un giorno sereno.
Si sentiva magnificamente. La malattia non c’era più. Quella riguardava l’esistenza, la compattezza, la costrizione in un corpo materiale e stringente.
Sopra di lui, un cielo senza macchie. Sotto prati, colline. Verdissimi.
Ed erano già, a questo punto, due giorni che scivolava, unica nuvola in un cielo totalmente azzurro. Eppure non soffriva di solitudine, di essere in cielo da solo, di vagare solitario nell’immensità eterna. Non c’era più nulla in lui che potesse soffrire.
Mai come in quel momento desiderò fare un atto di amore per il mondo: poter raccontare, ai fratelli spaventati sulla terra, come lui si sentiva ora. Ora che l’invisibile era diventato visibile. Avrebbe voluti gridare loro: resterete, resterete! Nulla scompare, tranne la forma. E non solo: sentirete in ogni vostra più minuscola parte il fresco di una grande beatitudine, di una quieta ebbrezza. Ogni singolo bruscolino sarà percorso da piacere. Anche se non fossero veri i tanti altri modelli immaginati e proposti, questa felicità l’avrete. E questa è certo, perfettamente compatibile con la fisica del ‘900 che conoscete e che riceve ora da me, testimone oculare, altra conferma.
Non ebbe tuttavia gran tempo per riflettervi ulteriormente, poiché a metà del terzo giorno avvistò, lontano, un vasto blancore sfumato e rarefatto: un’altra nuvola.
Sano e felice, si trovava d’improvviso a viaggiare in compagnia. Sebbene questa nuova presenza fosse veramente grande e solenne, Ismaele pensò naturalmente a una normale nuvola del cielo. Ma a dissipare presto il suo dubbio giunse una risata della nube.
Possiamo immaginare lo stato d’Ismaele quando udì questo suono. Veniva da lei, questo era certo, anche se sembrava venire da dovunque, tanto lei era grande. Ma non sapeva come comportarsi. Immaginò che, se voleva conversare, doveva chiamarla lui.
E le si accostò.
Andarono alla deriva per un po’ senza comunicare, alla stessa pigra lentezza, dettata dalla corrente. Ma entrambi, si capiva, gradivano la compagnia dell’altro.
Ora Ismaele la guardava da vicino e vedeva solo una rada polvere d’oro. Da cui però era uscita una voce.
Una rada polvere d’oro? Quanto gli ricordava, questa visione, i miracoli di quel mondo intermedio fra pianura e cielo, insomma dei monti ch’erano stati le mense degli dei. Quan-do ancora phisis, la bellezza, era scritta con parole mirabili. Ma il pensiero tornò alla grande nube.
Chissà chi era costui? Non osava certo chiederlo.
Non che sperasse di parlare di quantistica – che sentiva in quel momento farsi evidente in cielo – e che era la materia in cui era dotto e curioso e che governava ora il suo volo e la sua forma.
Non era nemmeno detto che l’altra fosse una nuvola vissuta nel ‘900. Poteva persino essere un antico greco. Chissà?
Ma per ora non pareva intenzionata a parlare. Gli aveva solo detto: “Ehi tu, avvicinati!”. E poi più nulla. Ismaele era rapito dalla sua luce intensa.
La voce che aveva udito aveva un chiaro timbro maschile. La lingua era italiana, corretta. Ma l'accento straniero e sconosciuto. Dunque era un “lui”. Era abbastanza vicino da vedere le sue particelle. Non erano materia ma spirito, luce pura. chissà cosa ne sapeva, lui, di questa strana forma di vita. Così si fece coraggio e chiese.
- Mi piace la tua luce – iniziò. Sperava che anche la sua fosse una vera voce e che l’altro la sentisse.
Ma dall’altro non venne che silenzio. Comunque Ismaele aveva l’intima certezza che anche quella fosse un’Anima e non una nuvola. Anche perché, quando gli aveva parlato, l’altro aveva come sussultato, aveva visto un lieve tremito.
Forse lo aveva disturbato.
Così se ne stette in silenzio e continuò a congetturare. Dovevano esserci in cielo le nuvole, alcune visibili altre no, di tutti gli uomini nati da quando un’anima era esistita. In ogni caso, visto che non parlava, decise educatamente di lasciar perdere.
Meglio godersi il volo. E cercare di far sapere laggiù, sulla terra, come si sta bene in cielo senza peso. Così, accompagnato da questo pensiero, prese una corrente ascensionale per allontanarsi e lasciarlo in pace.
Ma ad un certo punto qualcosa lo fermò.
- Grandet – aveva gridato l’altro – mi chiamo Grandet.
(continua)