Rapporto al Comando Generale.
Roma, 12/4/2022.
Agente speciale Saldini.
Il quinto componente del commando di provenienza sconosciuta giaceva a terra ferito in piazza della Minerva. La notizia ha corso velocissima e mi ha raggiunto in pochi minuti, questa giornata sarebbe rimasta per sempre nella nostra memoria.
Mi sono precipitato sul posto con la stessa squadra speciale che aveva da poco neutralizzato gli altri quattro, eravamo molto bene attrezzati con mezzi blindati, uomini, armi e protezioni da guerra batteriologica. Tutti comprendevamo l’importanza di quella missione ed eravamo assolutamente determinati a difendere il pianeta. Siamo arrivati dopo pochi minuti, c’era folla in quella piazza situata accanto a uno dei monumenti più visitati al mondo, centinaia di persone che eccitate e inconsapevoli si ammassavano e spingevano per conquistare un posto in prima fila e scattare una foto trofeo. Li abbiamo dispersi, tra urla e reazioni isteriche qualcuno è rimasto ferito nel caos mentre trascinavamo le persone che per prime avevano osservato l’accaduto dalla chiesa e che facevano resistenza più di tutti, piangendo e pregando in ginocchio.
Conquistata la piazza e stabilito il cordone di sicurezza, abbiamo appreso che l’essere si era nascosto in un confessionale durante la celebrazione di un funerale e che improvvisamente era scappato volando attraverso il rosone e frantumandolo, aveva compiuto due giri ampi della piazza, rimanendo sospeso per qualche secondo proprio in corrispondenza del foro sulla cupola del Pantheon, per poi perdere quota seguendo una spirale e cadere violentemente a terra.
Ora giaceva adagiato lungo il fianco sinistro, molto vicino alla scalinata della chiesa, l’elefantino di marmo al centro della piazza sembrava voltargli sdegnoso lo sguardo.
Mi sono avvicinato con tre soldati armati e pronti a sparare, girando lentissimi attorno all’obelisco abbiamo potuto osservarlo da poco meno di due metri.
Era circondato da frammenti di vetro colorato, uno dei quali gli si era conficcato tra collo e spalla causando una sorta di emorragia molto copiosa, un liquido bianco come latte che si spandeva tutt’intorno, risalendo verso gli scalini per poi discendere tra i sampietrini seguendo la pendenza della piazza. Uguale agli altri quattro, almeno per come cinque asiatici possono sembrare uguali ai nostri occhi: piccolo, alto forse un metro e trenta, nudo, a parte dei pantaloncini di materiale sconosciuto e di un colore simile a quello della pelle, che come pellicola biancastra e opaca, permetteva di intravedere le sagome sfumate degli organi interni. Totalmente glabro, a parte un leggero piumaggio bianco candido che dalla testa scendeva sul collo e si infittiva per finire sulle ali, ampie e lunghe quanto la sua altezza e ora piegate innaturalmente sotto il peso del suo corpo.
Quando l’ho guardato in volto, quei due occhi grandi e senza palpebre, scurissimi e perennemente aperti, mi hanno fissato con un’intensità insostenibile tanto sembravano pieni di dolore e di tutte le tristezze del mondo. Confesso che ho cercato di concentrarmi sulla mia missione, io dovevo salvare la razza umana e lui certamente stava tentando di manipolarmi. Il naso era appena distinguibile e la bocca, verdognola, unico colore sul suo corpo, si è mossa lenta come per cercare di dirmi qualcosa. Non riuscivo a comprendere quei suoni che diventavano sempre più flebili per lasciare posto all’ossigeno di cui quel corpo diventava ogni secondo più affamato, sembrava che fosse molto sofferente.
È stato in quel momento che è apparso come dal nulla il bambino biondo. In un attimo è corso velocissimo con il suo completo giacca e cravatta blu da funerale, la camicia bianca stropicciata fuori dai pantaloni. Piangeva e ha raggiunto l’essere prendendogli la mano con dolcezza, senza timore del suo aspetto, del liquido bianco che gli stava inzuppando l’abito e delle nostre urla. L’altro ha ricambiato con un sorriso accennato, quasi come se da quelle mani gli fosse arrivata energia vitale e per un momento breve ha emesso un suono meraviglioso, una melodia intensa, struggente, misteriosa e così potente che l’intero universo pareva essersi fermato, io ho trattenuto il respiro senza rendermene conto.
E poi il silenzio, i suoi occhi aperti e spenti rivolti in cielo, il bambino gli ha lasciato delicatamente la mano e ci ha rivolto uno sguardo spaventoso e cupo, ci ha voltato le spalle, ha sollevato il corpo senza vita e lentamente è rientrato in chiesa sparendo dalla nostra vista.
Eravamo come ipnotizzati, incapaci di reagire e solo dopo qualche attimo siamo riusciti a correre per reggiungerlo. Ma dentro la chiesa non c’era più nessuno, nessun’altra uscita da cui scappare, niente se non una densa aria nebbiosa penetrata da raggi di sole e silenzio.
I tre soldati in quel momento hanno poggiato le armi a terra, si sono spogliati completamente e, stretti in un abbraccio fortissimo, hanno preso a cantare quella melodia struggente e senza tempo.