Il nostro capitale sociale è 10.000.000 di euro, ripartiamo gli utili e le perdite tra i soci, ma noi le perdite non sappiamo cosa siano e gli utili netti, risultanti dopo prudenziali ammortamenti, li dividiamo tra le azioni, salvo che l’assemblea li destini al miglioramento degli impianti, all’incremento dei servizi.
Il nostro consumatore vive mediamente settantasette anni e mangia millequattrocento nostri animali. La carne non è solo abitudine, è ancora una conquista, l’ombrellone in sesta fila, la zanzariera, il videocitofono, il climatizzatore, il preliminare di Champions League, per settantasette anni il nostro consumatore mangia i nostri animali affettati nelle pappine, nelle prigionie dei seggioloni, affettati nei pianti asmatici degli asili, dei refettori, delle mense scolastiche presto rassegnate ai pomeriggi e alle schermaglie amorose dei piccoli bar universitari, affettati dentro i matrimoni, nelle esalazioni delle prime case di nuova costruzione, dei battesimi, delle comunioni, affettati nelle trattorie segnalate dagli inserti dei quotidiani, affettati nel bene rifugio delle seconde case in posizioni strategiche pagabili con un minimo anticipo, affettati nelle corsie degli ospedali esempi di mix tra pubblico e privato, affettati nei rinfreschi di commiato.
Noi assicuriamo il mantenimento della grande tradizione italiana nel mondo macello, la continuità con la civiltà contadina scomparsa ma rivitalizzata dalla nostra veloce azione quotidiana, noi diamo ai nostri consumatori ciò che le strutture pubbliche non danno, gli ex macelli comunali sono solo metri quadrati, spazi per le posizioni divenute centrali dopo l’allargamento delle città verso i bordi dove tutto è centro.
Le grandi città e i capoluoghi di provincia, i comuni di venticinquemila abitanti e perfino quelli più piccoli – dove il ballottaggio alle elezioni è tra due Liste Civiche dai nomi Insieme Per o Presente Con – hanno ex macelli. Sono aree abbandonate, muri diroccati, superfici per manifesti che pubblicizzano esibizioni acrobatiche con auto rosse scarburate le cui marmitte esalano una malinconia azzurrognola; sono muri diroccati, superfici per manifesti che pubblicizzano circhi dove il domatore stacca con eleganza i biglietti all’ingresso; sono porzioni adibite a centri psichiatrici per il recupero dell’individuo all’interno di una struttura snella ed efficiente; sono spazi espositivi per le opere di artisti il cui valore, nell’ultimo anno, è sensibilmente cresciuto; sono loft su due livelli, le travi a vista verniciate, un impregnante naturale dona ai soffitti una lucentezza accentuata dalla pioggia luminosa che precipita dai grandi lucernai e rimbalza sui riflessi dolciastri del parquet per ritornare ammaestrata in alto, prima di adagiarsi lentamente ovunque, fino ai giardinetti indipendenti piantumati, ricavati dalle antiche tripperie; sono spazi proposti da agenti immobiliari, sbirciano l’orologio sotto il polsino consumato della camicia, i piedi gonfi nelle scarpe nere stringate allacciate da dieci ore; sono parcheggi a pagamento, la terza domenica del mese diventano sede per i mercatini che propongono salumi biologici, riso integrale, farro, miglio, cereali; sono parcheggi di supermercati e striduli lamenti di rotelle, i carrelli trotterellano verso l’opaca voracità dei bagagliai, operazioni di carico e scarico di muletti gialli sui quali brillano nitidi tricolori; sono spazi ristrutturati, inaugurati da sindaci armati di forbici, da assessori con le maniche di camice arrotolate, giornalisti locali, fotografi amatoriali, pensionati attivi nel sociale, ex maestre traballanti, punti di riferimento per otto generazioni di scolari; sono aule magne di università, penne e matite rollate tra le dita annoiate delle ragazze, che quasi pronte invecchiano all’inizio di un’attività lavorativa, forse.
Nonostante la vita quotidiana neghi la morte, – sebbene la morte sia dappertutto, nelle notizie, nei copertoni, sui parabrezza, nelle nuvole, ovunque ci siano ferite disponibili, la morte talmente dappertutto da essere svilita – noi ci assumiamo la responsabilità della morte, la morte a norma, nel totale rispetto delle leggi vigenti, delle più scrupolose disposizioni igienico sanitarie condivise con l’Unione Europea. Noi offriamo una gestione informatizzata della carne, ogni nostro operatore svolge il proprio compito e nient’altro ma questa non è specializzazione della mansione, è distanza disossata del respiro che separa dal resto del processo produttivo, da se stesso così sostituibile, la neutralità della morte, sì, noi siamo un’organizzazione leggera, trasferiamo la morte lontano dai soporiferi centri storici, ridotti a squallidi merchandiser rinascimentali, la conduciamo nel paesaggio di mezza età delle tangenziali, l’emoglobina terrestre dei reticoli che come rettili strisciano sulla prigionia asfaltata della circolarità planetaria, ah, se potessimo avere un promontorio, un precipizio sul bordo a picco di noi stessi e invece niente, sfiancati dalla crudeltà della geografia viviamo nei consigli di amministrazione, all’interno di palazzi e stabilimenti ornati da alberi vanitosi cinti dal compromesso di un verde pignolo alto non più di due centimetri, un verde intermittente stretto dalla cancellata e sorvegliato in bianco e nero nei monitor, prima dell’allagamento di camion refrigerati, gasolio e sangue, mentre il nostro bovino entra, sempre, e il nostro consumatore deve solo pensare a vivere tranquillamente e svagarsi perché noi vegliamo sempre su di lui e gli prepariamo la bistecca, lo stipendio, il finanziamento agevolato per l’auto a metano conveniente, il corso d’inglese alla fine di settembre, il volo economico di un penultimo momento, sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno, a Natale, a Ferragosto, sempre, anche in quelle sere nelle quali la piccola amarezza quotidiana scompare brevemente per la voglia di festeggiare qualcosa, un campionato, un figlio, un ballottaggio, la voce seriale dell’ultima cantante in autoradio, la paletta di una gelateria, sempre, ci occupiamo della morte e delle sue dirette conseguenze, la gestione di stoccaggio di tutte le materie prime grezze semilavorate, intestini, stomaci, lo scarico del rumine del pacco intestinale e pezzi di corpi nemmeno utilizzabili per i cibi dei cani, dei gatti, e poi finalmente anche noi fuggiamo dai pensieri, ci rifugiamo sulle barche e dalle prue panoramiche il mare appare ancora molto bello, ci commuoviamo per la fragilità delle montagne, per il tepore terminale dei ghiacciai, dei nostri purosangue custoditi nei maneggi, abbiamo un prestigioso team di cavalli strappati alle corse di galoppo, alla fama popolare degli ippodromi, cavalli adatti alle improvvise accelerazioni che rendono eccitante un pomeriggio, l’assolo degli zoccoli nel vento, la silenziosa dignità del balletto di un pesce quando muore.