«Ferito a morte è un romanzo modernista».
«Ma se è del '61!».
«Embè? È joyciano, anzi: woolfiano».
La sera sembra tutto più vicino. Agosto è finito e il mare ne risente, non si dà pace stasera. Mugghia buio, di bianco solo la spuma e la luna che la illumina per quei nanosecondi che riesce a durare appena tocca riva.
Siamo sulla terrazza del lido, io e Alberto, e abbiamo appena preso posto perché danno Perfetti sconosciuti, è la cinenight. Siccome è Perfetti sconosciuti, non capisco la presenza di tutti i bambini che sciamano dalla spiaggia alle sedie di plastica accanto a noi. Con loro nonne dalle
gambe piene di vene.
«Non puoi parlare di modernismo se siamo negli anni '60. Dici sperimentalismo, dici avanguardia fuori corrente, se proprio», riprende Alberto. Non mi attacco, è inutile. Molto schematico, ecco cos'è diventato ultimamente.
«E poi - conclude - le parole sono importanti».
Che pesantezza. Mi giro a guardarlo e mi chiedo quand'è che ha deciso di appiattirsi i capelli così, quand'è che ha deciso di crescere. Nel frattempo hanno acceso il proiettore. La luce rivela un'aria notturna carica di polvere e il mare si è ingrossato, fa un rumore bellissimo, è un richiamo.
«Mamma mia, arriva un'aria dal mare. Non hai portato un maglioncino?».
«Sto bene così», replico laconica mentre mi arriva un vento gelido e umido e la pelle d'oca, che è sempre una piacevole sensazione. Penso a quando ho mangiato l'oca qualche mese prima a Milano - totalmente per caso, dopo aver evitato una vita intera pollame - e mi guardo le braccia, un po' assente. A breve io e Alberto ritorneremo su, lui a dicembre si laurea con una tesi sull'ultimo Calvino, quello di Se una notte d'inverno un viaggiatore, per intenderci. Mi riguardo le braccia.
Mesi prima, al bar poc'oltre Festa del Perdono: «Non ci credo, l'hai fatto di nuovo».
«Cosa?».
«Quella cosa tua. Timbrato il cartellino».
«Che?».
«Sei andata al lavoro e non hai fatto niente, ma ti senti apposto perché sei in regola. Tradotto: ci sei ma non mi ascolti».
«Guarda che ti sto sentendo. È che è più forte di me, Calvino è troppo "ragionato"».
«Riesci per un attimo a defilarti da ciò che pensi e a concentrarti sul fatto che io ci stia facendo la tesi?».
E ora ha i capelli piatti, sistemati. Il filo di una sigaretta di qualcuno più avanti si incolonna sullo schermo e per un attimo guardo il film tramite il fumo. La pupilla fa come l'otturatore: si espande e si chiude. Quando si apre la scena si dilata, zoomma un particolare e a me pare paradossalmente di vedere più cose. Poi si restringe e tutto torna nella sua posizione.
Nel frattempo siamo arrivati al momento in cui i cellulari vengono messi sul tavolo. E la gente ride alle battutte di Giuseppe Battiston - non capiscono il dramma del suo personaggio. Mi sembra proprio uno spreco non sentire il dramma. Lo dico ad Alberto, gli dico: «Deve essere uno schifo capire tutto il contrario di niente, manco una cosa così semplice».
E lui mi fa: «Mica è facile immedesimarsi».
«Ma non fino a questo punto, dai».
«Che ne sai» sussurra.
Per tutti con benevolenza e assoluzione. Niente e così sia. Poi Alba Rohrwacher si chiude in bagno e inizia a passarsi il rossetto sulle labbra, très hystérique.
Oggi è domenica. Ho sempre fatto caso alla malinconia eterna delle domeniche, specialmente a casa mia a settembre con il vento che sa già di autunno. L'estate è un grande stupefacente tempo morto, i mesi più uccisi dell'anno. Praticamente un tramonto lungo. Mi alzo.
«Dove vai? Non è finito».
«Al cesso, non la trattengo più».