Routine
Come tutte le mattine, percorreva quella decina di chilometri, senza porre tanta attenzione alla strada. Ne conosceva ogni singolo metro, addirittura la posizione delle buche che in alcuni tratti erano delle vere e proprie voragini.
Arrivato al lavoro si rintanava nel suo ufficio e, in una sorta di apnea, tirava avanti tra i ratei, i risconti e gli ammortamenti fino alle cinque.
Certi pomeriggi, quando la fretta di tornare non lo costringeva a spingere il piede sull'acceleratore, si fermava a bere un caffè alla trattoria “I due Lupi”, appena fuori dal paese. Seduto al solito tavolino di legno sbiadito dalle intemperie, faceva due chiacchiere con il titolare, ordinava il caffè e, dopo averlo mandato giù in un unico sorso, si abbandonava sulla sedia.
Ritardando il più possibile il ritorno a casa, prendeva il taccuino dalla ventiquattrore e si metteva ad appuntare i discorsi dei clienti che come lui oziavano nell'attesa di chissà che cosa. Ogni tanto qualcuno si voltava a guardarlo e annuendo gli sorrideva. Quello era l'unico momento della giornata in cui si sentiva felice. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo sulla distesa verde della campagna oltre la strada e sognava. Sognava di essere un grande scrittore e si divertiva a farsi passare per tale da tutti quelli che lo conoscevano. Seduto a quel tavolino riempiva pagine e pagine dicendo a se stesso che prima o poi il suo libro lo avrebbe scritto, forse un giorno, quando sarebbe andato in pensione. Quella bugia lo gratificava e gli permetteva di tirare avanti in una routine che gli stava ormai stretta.