Le braccia tese delle ruspe scavano il cielo rallentando il commiserarsi mattutino di chi, come me, è in coda a quest'ora più per obbligo, che per effettiva necessità.
So essere presuntuoso come i camion con Padre Pio tatuato sulle portiere fermi, con le quattro frecce lampeggianti, davanti ai cancelli di un'altra società a responsabilità limitata, come le decisioni che evito di prendere. Sveglio, di colpo, dopo vent'anni che dormivo a chiedermi Quando ho scelto tutto questo?
Intanto, i bambini degli zingari accampati lungo i marciapiedi invadono la strada. Un giorno o l'altro li investo. Non è razzismo, ma una loro mancanza di rispetto.
I gabbiano girano in cerchio sopra la discarica , come avvoltoi sopra le carcasse del mio talento sprecato. C'è un mare di poesia anche dentro alla spazzatura. Vorrei spiegartelo, ma ho così poco tempo ancora.
Una reminiscenza in bianco e nero mi abbraccia di colpo alle spalle, davanti al grigio di questa fabbrica di cemento dove l'umorismo è in cassa integrazione, ben prima della gente che dentro vende la propria esistenza ad ore.
I primi giorni degli ultimi anni delle elementari, quando ci chiesero Cosa volete fare da grandi?
Non ricordo la mia risposta, ma quella di un mio compagno che disse L'escavatorista. Cosa che al tempo fece ridere tutti, con quella cattiveria che hanno solo i bambini.
Ora quel ragazzo guida le ruspe, mentre io non ricordo nemmeno il mio di sogno.
Chissà chi dei due ha vinto.