SCACCO MATTO
Era nata nei giardini di Teheran la passione di Sara per gli scacchi, nelle mattine di luglio in cui l’aria è infuocata quanto basta a bruciare la pelle e accorciare il respiro.
Le ragazze si ritrovavano a giocare in attesa dell’ora in cui era consentito alle donne l’ingresso in piscina e, alla lunga, avevano finito per preferire all’acqua la frescura degli alberi e il profumo delle rose e al nuoto gli scacchi.
“Scacco matto” sussurrava con un sorriso Sara sollevando appena lo sguardo dalla scacchiera. E le partite che non vinceva erano solo quelle che concedeva alle sue avversarie per incoraggiarle. “Se divento una campionessa vado via di qui” ripeteva ed erano stati il pensiero di poter vivere libera e la speranza di dare ai suoi figli una vita migliore che l’avevano aiutata a superare infinite prove negli scacchi e nella vita.
Pensava al vento dell’ovest - che talvolta, nelle giornate d’estate, soffia lieve sulla città facendo scivolare il velo dal capo e ricopre i capelli di una sabbia rossa fine - mentre, anni dopo e in un altro paese, disputava una partita di campionato.
Quella mattina non avrebbe indossato il velo scuro, come prescritto, in segno di protesta contro una legge inaccettabile e la cui infrazione poteva essere punita, in modo ancora più inaccettabile, con la morte.
A scacchi, nel gioco rapido, la sfida è contro l’avversario e contro il tempo. “Scacco sulla diagonale scura e la regina è troppo lontana per intervenire”, Sara cercava di concentrarsi sulla sua prossima mossa, mentre i fotografi le rubavano qualche scatto. “Avanza la torre”, il pensiero del pericolo a cui esponeva la sua famiglia si mescolava al desiderio di manifestare il suo dissenso.
"Shah mat", il re è morto, dicono i persiani per intendere che si desidera sconfiggere qualcuno. “Scacco matto!” disse Sara guardando negli occhi con orgoglio la sua avversaria che le sorrise; sapeva che in quel momento la vera sfida di Sara non era né contro di lei né contro il tempo, ma per la sua libertà.