Il reale interattivo
Interagire: questo è il nono verbo scelto da Kelly per qualificare l’epoca attuale.
Nei prossimi trent’anni, scrive, ciò che non sarà intensamente interattivo verrà considerato rotto. Come esempio della massima interattività Kelly cita le Realtà Virtuale e Aumentata, che saranno parte integrante delle nostre vite. Chiama in causa il progetto di Microsoft di costruire l’ufficio del futuro. I lavoratori, anziché star seduti in un cubicolo di fronte a una parete tappezzata di monitor, si trovano in un open space in cui ognuno, indossando gli HoloLens, guarda un’enorme parete fatta di schermi virtuali tutt’intorno a sé. Oppure, cliccano per essere teletrasportati in una sala conferenze 3D con una dozzina di collaboratori che vivono in città diverse o, ancora, per seguire un corso di aggiornamento nel quale un istruttore li accompagnerà in una lezione di primo soccorso, aiutando i loro avatar ad applicare le procedure corrette. «Hai visto questo? Ora fallo.» In molti modi, scrive Kelly, una lezione in Realtà Aumentata sarà superiore a una lezione reale.
Situazioni di questo tipo, che il Covid ha reso drammaticamente attuali, sono riprese anche in Ariminum Circus. Ad esempio nell’Episodio 7 della Quarta Stagione troveremo il Piccolo Ed sulla spiaggia, che gioca a fare l’investigatore privato. La notta è calata all’improvviso, “ma Rick Deckard era abituato a muoversi in un ambiente ostile, oscuro e perennemente piovoso, assistito solo dalla tecnologia. Animale notturno, solitario, irriducibile, incurante del prossimo scatenarsi degli elementi, girava fra gli ombrelloni e le cabine mobili da spiaggia, con gli HoloLens a raggi infrarossi nuovi di zecca e lo smartphone Android Pixel 5 XXL accesi e connessi. Novello Adamo cibernetico, si divertiva a riconoscere e a dare un nome a ogni oggetto inquadrato con la fotocamera degli occhiali. Grazie ai potenti algoritmi forniti dal Grande Fratello di Mountain View, puntando gli occhiali su una pianta, su un fiore o su un’alga otteneva la scheda presente in Wikipedia. Sapeva risalire al nome di un albero da frutto fotografandone un seme portato dal vento. O dire di che razza è un cane”.
La memoria interattiva
L’interazione, come vedremo più avanti, è connessa al tema dell’identità e quindi della memoria, anch’essa al centro dell’”amarcord” di AC. Ricordo per il momento solo che nella Terza Stagione Jay viene sottoposto ad un esperimento neuroscientifico. Viene introdotto all’interno di una macchina complessa (un Tomografo) dove si può applicare il “protocollo standard per la verifica del livello di innamoramento, che consiste in primo luogo nel sottoporre i soggetti a uno stimolo collegato all’amore romantico”, come spiega il Maestro, che quindi prosegue: “L’esperimento dura quarantadue minuti. L’innamorato sta nella macchina dopo avere bevuto ventisette gocce di Agrimony; al di sopra dei suoi occhi viene collocato uno specchio verso il quale è rivolta la telecamera. I soggetti guardano per trenta secondi l’immagine della persona amata, quindi fissano per trenta secondi un’immagine neutrale. Si sovrappongono le scansioni cerebrali dell’immagine positiva a quelle dell’immagine neutrale. Ora abbiamo davanti a noi il cervello dell’innamorato, sotto forma di figura geometrica, bi, tri o quadridimensionale, a seconda dei casi”.
Al termine dell’esperimento, “sullo schermo apparve e aleggiò per qualche istante un’ultima immagine ipnagogica proveniente direttamente dall’ippocampo di Jay. Una reazione dovuta allo stato di coscienza del cervello alteratosi durante la prolungata semi-paralisi richiesta dalla procedura che il Maestro aveva seguito. Rappresentava lui e Daisy: un ricordo del giorno prima, o piuttosto una rielaborazione fantastica. I capelli dorati dell’uno e quelli infuocati dell’altra risplendevano sulla pelle dei corpi nudi dorati dal Sole. Le gambe sembravano quelle di due angeli che, provenendo da opposte direzioni (lui dall’alto, lei dal basso), si fossero dati appuntamento in volo, a pelo d’acqua. Le teste vicine, attratte da una forza magnetica, s’allungavano leggermente per darsi un bacio. Un bacio né appiccicoso né lungo, ma che si ripeteva all’infinito col profumo e la freschezza di un fiore, e che nell’ora pigra di quel pomeriggio incantato sostituiva la parola più eloquente”.
L’espansione dell’interazione
Secondo Kelly, nei prossimi decenni continueremo a espandere la gamma delle cose con cui interagiamo. Tale espansione procede secondo una triplice spinta.
1. Più sensi. Continueremo ad aggiungere nuovi sensori e nuovi sensi alle cose che facciamo. Naturalmente, tutto avrà occhi (la vista è quasi gratuita) e udito, ma uno per uno possiamo aggiungere dei sensi sovrumani, come sensori per la localizzazione GPS, il rilevamento di calore, la vista a raggi X, la sensibilità a molecole diverse o agli odori. Ciò permette alle nostre creazioni di risponderci, di interagire con noi e di adattarsi ai nostri usi. L’interattività, per definizione, è a due vie, perciò questi sensi elevano le nostre interazioni con la tecnologia.
2. Più intimità. La zona in cui si svolge l’interazione continuerà a marciare verso di noi. La tecnologia si avvicinerà più di un orologio o di un telefono tascabile. L’interazione sarà più intima, costante e onnipresente. La tecnologia personale è una frontiera spalancata. "Pensiamo che la tecnologia abbia saturato il nostro spazio personale, ma quando tra vent’anni ripenseremo a oggi, ci renderemo conto che nel 2016 (anno in cui Kelly ha scritto il suo libro) ne era ancora ben lontana".
3. Più immersione. L’interazione massima richiede un salto da parte nostra nella tecnologia stessa. Questo è ciò che la Realtà Virtuale ci permette di fare: calcoli così vicini da esserci dentro. Dall’interno di un mondo creato tecnologicamente, interagiremo l’un l’altro (realtà virtuale) o anche con il mondo fisico (realtà aumentata) in modi nuovi. La tecnologia diventa una seconda pelle.
Tutte e tre queste linee evolutive vengono esplorate in Ariminum Circus. Nella Quarta Stagione ad esempio il Capitano, sempre alla ricerca di terapie di self help online, ne sperimenta una “utilizzando lo smartphone e un visore per la realtà virtuale… Era stato creato un ambiente virtuale, Il Giardino Segreto, che riproduceva un ambiente zen. All’interno offriva una serie di meditazioni realizzate con la tecnica della gamification, per capire e controllare le proprie emozioni, riducendo il livello di stress. Prevedeva, in altre parole, esercizi-gioco fondati sulla cosiddetta “ruminazione” (continuare a pensare a progetti personali, o a obiettivi professionali, e ai modi per realizzarli)”. Nella Quinta Stagione poi la tecnologia avanzatissima del “braiframe” è al centro di uno sviluppo sorprendente della trama, che non spoilero per non rovinare il piacere della sorpresa.
L’identità narrativa tramite l’interazione
Interagire, infine, è un verbo che naturalmente attira l’attenzione di tutti coloro che amano la lettura e la scrittura. Quando si parla di libri interattivi, l’appassionato di letteratura pensa subito a Ruyuela di Cortazar, gli amanti dei libri gioco a Umberto Eco che gli analizzza in Opera Aperta e in altri luoghi, gli amanti delle serie TV ai film interattivi prodotti da Netflix, le mamme di oggi a quei testi per bambini che hanno la capacità di immergere i bambini, ma anche gli adulti, in un ambiente multimediale, ovvero di creare l'interazione con i singoli elementi della storia.
Il tema è vastissimo e magari lo riprenderò in un pezzo dedicato. Qui preferisco sottolineare un aspetto ancora più fondativo del rapporto fra interazione e narrazione. Perché siamo chi siamo, ma anche chi raccontiamo di essere. Come recita il secondo dei dieci item che definiscono il profilo del Lettore ideale di Ariminum Circus “il Lettore Ideale sa che l’uomo è intriso dal desiderio di narrazioni. Platone nel Cratilo, ricorda Eco, suppone che le parole non rappresentino le cose, bensì l’origine o il risultato di un’azione. Sono delle microstorie. Duemilacinquecento anni dopo, Kelly individua nella mutazione degli oggetti in attività (il libro diventa un librare) l’essenza della trasformazione digitale in atto. Harari così sintetizza la questione: ‘Gli esseri umani preferiscono pensare in termini di storie piuttosto che di fatti, numeri o equazioni. E più semplice è la storia, tanto meglio è’. Anche quando si pensano: siamo storie per noi stessi. La risposta alla domanda E tu chi sei?, che il Brucaliffo rivolge ad Alice, può essere data solo nella forma di un racconto capace di definirci: i nostri valori, le nostre capacità, la nostra storia passata, i nostri successi, gli sbagli, le giustificazioni. Con tale consapevolezza, il Lettore Ideale oppone tuttavia ‘una forma di resistenza, quasi eroica, a ciò che oggi s’impone con successo: la trama dai prevedibili colpi di scena e gli intrecci banali con i loro protagonisti inequivocabili’ (Paolo Di Stefano)”.
In altre parole, “dare un senso alla nostra vita”, vuol dire, essenzialmente, raccontare una storia, scoprire la trama della nostra esistenza, i suoi protagonisti principali e i comprimari, gli antefatti, le svolte, i colpi di scena, la tensione crescente che si indirizza, ce lo auguriamo tutti, verso un lieto fine risolutorio. Se qualcuno ci chiedesse di descriverci o di descrivere un nostro amico, chi non inizierebbe raccontando una storia, un aneddoto, il modo in cui ci siamo conosciuti e come le esperienze che abbiamo vissuto ci hanno reso ciò che siamo o ciò che crediamo di essere? La risposta alla domanda “chi sono io?” non può che essere data in forma di narrazione, di un racconto capace di integrare nella sua struttura ciò che pensiamo ci definisca in maniera univoca: i nostri valori, le nostre capacità, la nostra storia passata, i nostri successi, gli sbagli, le giustificazioni, e poi il presente e ciò che ci aspettiamo e desideriamo per il futuro, nostro e delle persone a cui teniamo di più.
Durante la Quarta Stagione, la questione di come sia importante trovare un interlocutore a cui “raccontarci” verrà affrontata in un dialogo fra il Maestro e il Capitano. Quest’ultimo dice all’amico che la sera precedente era caduto in una sorta di torpore catatonico. E aggiunge “«Tutto sommato era stata una cosa passeggera, ma quell’orrenda sensazione di non riuscire a scuotermi da una condizione di immobilità assoluta mi perseguita ancora adesso».
Così prosegue l’interazione (il dialogo, non a caso alla base della filosofia platonica e quindi di tutta la cultura occidentale, è la forma basica d interazione):
“«Prova a descriverla».
«Avevo cancellato ogni vestigia del mio passato più remoto e avevo le idee confuse sulla mia identità attuale. Avevo sempre deriso il Nostromo della mia prima Ciurma, Epifanio Mendez, quel messicano fuori di testa che si vantava di divinare non le cose future, ma quelle passate: solo ora mi rendevo conto che il pazzo ero io. La mia tracotanza era stata punita, venivo brutalmente svergognato. Ridevo quando lui sosteneva di avere acquisito le sue facoltà paranormali dopo avere dormito ininterrottamente in una caverna per quarantadue anni. E adesso io non ricordavo neppure quando fossi annegato nell’abisso dei Sogni: sapevo solo che ora, al mio risveglio, separando con gran fatica le memorie del dolce sonno dai ricordi salati della veglia, riuscivo, ma solo per pochi attimi, a fare emergere dettagli degli avvenimenti accaduti prima che venisse posta una pietra sul sepolcro della mia memoria - resti di un relitto galleggianti sulla cresta dell’onda di un mare ancora sconvolto dalla bufera. La festa alla Fortezza Bastiani, la nostra conversazione notturna, l’incontro con Helen e Daisy…
Sussisteva però la possibilità di intravedere, dietro la nera schiena del Tempo, tutto quanto era successo più in dettaglio. Dovevo parlare con qualcuno. La traccia mnestica di quegli eventi sembrava già essere sul punto di abbandonare la rigidità cadaverica in cui si era immobilizzata insieme al sistema più complessivo di rapporti individuali e di ricordi personali che, nel flusso di un movimento perenne, si coniugano con quelli degli altri esseri umani, costruendo così delle esperienze comuni. Mi bastava trovare un interlocutore per darle la piccola spinta necessaria a risorgere. Perché il mondo, come insegna Melville, si crea con la parola e c’è ben poca differenza fra creare, raccontare e ricordare».
«Confermo. Quando il processo mnemonico è bloccato e per qualche ragione – tipo un calo proteico tale da inibire la produzione del gene chiamato GRID2 o l’insorgere di malattie ereditarie come l’atassia cerebellare – il dialogo fra cervelletto e amigdala si interrompe, si può supplire al vivere una esperienza, o all’averla dimenticata, con il racconto, che ce la restituisce permettendo il superamento dei vincoli spazio-temporali, l’abbattimento dei limiti individuali e la costituzione della memoria collettiva».
Il Capitano annuì con vigore: «Era il mio caso! Quantomeno, potrei traslare, per analogia, il ragionamento alla contingenza che stavo attraversando. Per ricostituire l’integrità della mia coscienza dissociata avevo bisogno di qualcuno che mi narrasse gli accadimenti di cui ero stato protagonista nelle ultime ore. Come si rivelò Ulisse, che pianse ascoltando il canto di Demodoco, o Claudio, che squittì, preso in trappola, assistendo ad uno spettacolo teatrale, avrei potuto scacciare il ricordo del recente passato dall’interstizio della circonvoluzione cerebrale dove insisteva a nascondersi, se un disinfestatore accorto avesse predisposto una rappresentazione adeguata. Psycobot, il mio Psicoanalista digitale, era proprio la Persona adatta. Se solo non fosse stato così suscettibile».
«Suscettibile?».
«Non tollera che io tenti di integrare il suo contributo al miglioramento della mia salute mentale con altre fonti di supporto psicologico non umane. E io avevo appena cercato su Google nuove modalità di cura a distanza…»”.