Il vecchio proviene (forse) dall’Europa dell’Est.
Il giovane, dall’Africa.
Il volto del vecchio è a un centimetro dal volto del giovane: sbraita, urla, minaccia.
Il giovane africano resta impassibile.
Sembra una di quelle scene che si vedono durante una partita di calcio, con i due giocatori che – dopo un fallo pericoloso – si affrontano a muso duro.
Invece il match della disperazione si gioca ad un semaforo, in una via centralissima di Napoli.
Fermo, in sella alla mia bici, chiuso ermeticamente nel casco e protetto dalla mascherina anti-smog/covid, attendo il verde.
Osservo i due discutere per il predominio dell’incrocio.
Parlano lingue diverse ma i gesti sono eloquenti: il vecchio teme di perdere il monopolio della strada, il giovane cerca spazio per il suo business.
Il primo pulisce i fari delle auto, il secondo vende fazzolettini e cianfrusaglie.
E’ una questione di sopravvivenza, non c’è spazio per il dialogo.
Due persone disperate, combattono invece di aiutarsi reciprocamente.
L’uno respinge l’altro, non cercano nessun compromesso.
La paura di perdere l’unica fonte di guadagno è un cane rognoso che morde i polpacci.
La solidarietà è un concetto astratto, utopia per chi combatte nella giungla metropolitana contro «mostri» di ogni razza, colore e forma.
La disperazione rende cattivi? La fame cancella ogni segno di umanità?
Scatta il verde.
Auto, moto, bici e pedoni riprendono il viaggio.
I due disperati, tra l’assuefazione generale, si dileguano a bordo strada in attesa del prossimo stop.
Li osservo per un ultimo, lungo istante: lontani, i due uomini si guardano in cagnesco.
Nessun armistizio.
Continueranno la loro, personale battaglia per il monopolio del semaforo nell’indifferenza generale.
Pedalo e vado via impotente.