Il Capitano lottava con l’insonnia. Aveva un appuntamento quella notte con il Maestro e due Pirati, ma si era scatenato un uragano e tutto era stato rinviato alla notte successiva. C’era poi stato un incidente con le ragazze nella hall, che lo aveva messo in agitazione. Aveva avuto serate più fortunate. Si era così chiuso in camera nella speranza che Morfeo avesse il buoncuore di passare a visitarlo.
Nell’attesa, meditava sul New normal. È così che tecnicamente si definiva la voglia di andare avanti in casi come il suo, sapendo di dover convivere con le minacce derivanti da malinconia, depressione, stress traumatici da virus reali o immaginari. Nonostante i buoni uffici del Maestro, grazie al quale la sua situazione psicofisica era migliorata, un nuovo aumento dell’ansia poteva essere alle porte. Come affrontarlo? Psycobot era stata una scelta infelice, dalle cui conseguenze non riusciva a liberarsi. Una terapia di self help online poteva essere una soluzione alternativa.
Una in particolare, googlando, lo aveva attirato. Era stato creato un ambiente virtuale, Il Giardino Segreto, che riproduceva un ambiente zen. All’interno offriva una serie di meditazioni per capire e controllare le proprie emozioni, riducendo il livello di stress, realizzate con la tecnica della gamification. Prevedeva, in altre parole, esercizi-gioco fondati sulla cosiddetta “ruminazione” (continuare a pensare a progetti personali, o a obiettivi professionali, e ai modi per realizzarli).
Prese un visore, lo connesse allo smartphone e cominciò con le attività introduttive di riscaldamento. La prima era un percorso storico, relativo al rapporto fra mondi virtuali e spazio fisico. Si risaliva al periodo tra il Medioevo e l’Umanesimo, quando nasce la metafora del “mondo come gioco”. L’avatar-guida Calvin sussurrava:
«La metafora del videogioco come mondo e quella del mondo come videogioco hanno una lunga storia. Chi è in grado di giocare al gioco del mondo? Solo Dio, che come Cesare ama i dadi, o anche l’uomo? La metafora del gioco-mondo è al centro delle discussioni teologiche sulla sapienza divina e sui limiti della conoscenza umana fino all’inizio dell’età moderna».
Un altro momento storico importante, proseguiva il tutor, è la nascita dei giochi di viaggio nell’ambito del Grand Tour, un fenomeno tipico per il periodo tra Sei e Settecento. L’impero ariminense diventò la meta preferita dei lunghi viaggi di alcuni ricchi aristocratici prevalentemente dall’Inghilterra, ma anche da altri Paesi europei, che con scopi scientifici, o terapeutici, intrapresero famosi itinerari di pellegrinaggio. Questi grandi viaggi ebbero come risultato lo sviluppo di giochi da tavolo legati all’idea dello spazio, che hanno, forse per la prima volta, “creato” luoghi virtuali, come per esempio le famose immagini delle città di Bellaria, Cattolica, Sant’Arcangelo, Pinarella, Zadina, Tagliata, Valverde, Gatteo: oltre che la stessa Ariminum, riprodotte nelle mappe del Viaggio in Romagna di J.W. Goethe (1816), un gioco dell’oca estremamente elaborato, che all’epoca ebbe un successo simile ai più moderni Monopoli, Risiko, Civilization.
Ne seguirono poi tanti altri: da La Certosa di Parma di Stendhal (1839), primo board game strategico, a La morte a Venezia di T. Mann (1912), che crea un nuovo genere, focalizzato sulle meccaniche e sull’esperienza che veicolano, fino a Inferno e Angeli e demoni di Dan Brown, con cui entra di prepotenza la app per giocare attraverso smartphone. Questi ultimi, concluse Calvin, hanno contribuito in maniera significativa anche all’ulteriore sviluppo del turismo virtuale: folle di viaggiatori invadono le città ricostruite di Roma o Firenze da Google, con la loro copia del videogioco preferito caricata sul desktop, in cerca dei luoghi in cui è ambientato.
Il Giardino Segreto proponeva a questo punto una serie di sentieri che si biforcavano attraversando esperienze videoludiche dei generi più diversi (guerra, fantasy, erotico…). Si poteva scegliere fra il sentiero che conduceva ai nidi di ragno attraverso un’esperienza simile a Mortal Kombat e quello lastricato di mattoncini gialli, in stile Minecraft, che portava a caverne infestate da streghe digitali. Oppure proseguire per vie acquatiche: come attraverso il Danubio, un Trivial Pursuit in cui letteratura, storia e geografia interagivano fra loro. L’elenco sarebbe lungo, ma almeno alcuni luoghi preferiti dai videogiocatori meritano di essere citati:
la Firenze di Dante e di Poliziano, ma soprattutto del divino Marchese, Sade, che nel 1775 ammira il colpo d’occhio dei quattro Ponti sull’Arno, mentre seduce la moglie incinta del suo ospite,
la Verona in cui Goethe viene arrestato come spia mentre disegna un castello,
la Venezia dove Théophile Gautier sotto l’effetto dell’hashish vede delfini saltare nei canali e poi volare in Cielo salutando «Grazie per tutto quel pesce!»,
la Liguria infestata dagli spettri di Montale,
l’Isola di Banaro del Portuguese D. Ace, ombra giapponese dell’Isola del tesoro di Stevenson,
la Dublino immaginaria di George Berkeley e di Joyce,
la Londra di Sherlock Holmes, odiata dall’umanista John Evelyn per le sue esalazioni pestilenziali,
l’aprica Topolinia di Walt Disney,
l’oscura Gotham City di Batman,
la Sim City di Will Wright, più vera del Vero...
Il Capitano scelse l’Ariminum di Federico D. Fellini, indicata da Calvin come sede ideale per compenetrare “la Verità Egizia”: «la dimensione fisica del corpo rappresenta solo uno dei modi di esistere, come lo sono il cuore, l’ombra e il nome, che racchiude la distinta identità di ciascuno».
Si trovò all’interno di un role game, tipo Dungeons & Dragons. Cominciò l’esplorazione dal Grand Hotel. Dalla camera che lui stesso occupava. Era il primo livello del gioco, durante il quale doveva costruire il proprio personaggio, nelle sue diverse dimensioni (forza, coraggio, intelligenza, eccetera). Non fu una grande intuizione. Da quel momento, non seppe più distinguere fra se stesso e il fantasma digitale, identico a lui, che abitava quel mondo virtuale.
Anche il Maestro non riusciva a dormire. Dopo aver architettato un piano per la cattura dell’assassino del commesso pulitore, aveva convinto il Capitano e i suoi uomini più fidati ad aiutarlo; ma a causa delle proibitive condizioni meteo non si era potuto procedere. C’era ancora Tempo, ma sempre meno.
Doveva concentrarsi su un problema diverso per recuperare un po’ di tranquillità. Decise di affrontare la questione che gli aveva posto quella ragazza, Helen. Gliela aveva presentata il Capitano, durante un incontro casuale nella hall del Grand Hotel, qualche ora prima, proprio mentre apprendevano che il colpo di quella notte era andato a monte.
I due galantuomini avevano offerto una bottiglia di vodka bianca a lei e alla sorella Daisy; i quattro si erano seduti a un tavolino del Mocambo. Il discorso, non ricordava come, era finito sul suo progetto preferito: i cinque mondi di Ariminum Circus. Gli altri lo avevano sollecitato a fornire qualche particolare in più e lui aveva mostrato una grafica su cui stava lavorando. Appena la videro, Helen e Daisy, fino a quel momento piacevoli compagne di bevute, avevano di colpo cambiato umore. Era la bozza della home page per la app che avrebbe dovuto guidare il visitatore nel Quarto Mondo, When: uno slider in primo piano rappresentava il Tempo, classicamente riprodotto con le fattezze di Cronos il Divoratore, che attraversava una stanza, dove una donna cullava un neonato, mentre un uomo lavorava al computer.
Helen si era inalberata: «Un’immagine che riporta agli anni Cinquanta il ruolo della donna! Che orrore!».
«La donna col bambino e l’uomo su Youporn: non credo ci sia da aggiungere altro» le aveva dato manforte Daisy.
«Non ci vedo niente di male nell’immagine di una donna che si prende cura di un neonato» aveva commentato il Capitano, perplesso quanto l’autore del disegno.
Ma le gemelle furono risolute nel chiedere di modificare lo slider seduta stante: il neonato non più in braccio alla mamma, ma al papà. E lei, non l’uomo, davanti al computer. In giacca e cravatta. Mentre dava ordini a schiere di yes men palesemente non in grado di intendere e di volere. Nel frattempo le voci si erano alzate e la discussione aveva attratto anche altre persone.
«Quest’immagine è fuori dal tempo e dalla storia: dev’essere cambiata!» sbraitò una vecchia megera che Tim avrebbe definito “absolutely unfuckable”.
«Condivido!» ruggì una signora di mezz’età che si sarebbe potuta giudicare più carina, se non avesse avuto il volto deturpato da una pessima plastica facciale. Dagli orrendi labbroni gonfiati di botulino, schiumanti di bava, spuntarono zanne che si avvicinarono pericolosamente alla giugulare del vecchio artigiano.
«Trovarla offensiva significa disconoscere l’unicità della donna-madre e renderla sostituibile attraverso una figura maschile oggi. O un robot domani» provò a difendersi il Maestro. Era sconcertato. Uno come lui, che nell’autobiografia aveva dichiarato: “temo solo Dio. E la mia ex moglie”, era del tutto impreparato a rintuzzare quell’attacco a sorpresa da parte del gentil sesso. Preso alla sprovvista, abbandonò per un momento le abituali posizioni tecnoentusiaste, per cercare di domare l’inferocito pubblico femminile, agitando il fantasma di una tecnologia che avrebbe presto reso inutile l’esistenza delle donne stesse.
Manco a dirlo, con quell’uscita peggiorò solo la situazione. E per fortuna non era presente il Piccolo Ed, altrimenti chissà che piega avrebbe preso la conversazione. Diciamo pure la rissa incipiente. Anche perché Lloyd Snark, il Barman, si stava a sua volta innervosendo, sia pure per motivi opposti: «Nell’Ariminum del terzo millennio si fa ancora fatica ad associare un uomo alle faccende domestiche e alla crescita dei figli! Questo schifoso sessismo misantropo e retrogrado sta superando ogni limite! Mi stupisco che anche il Maestro sia caduto nella trappola di questo bieco antimaschilismo retorico e banale!» sussurrava a un cliente seduto al banco.
Sta di fatto che Helen e Daisy, a quel punto, si alzarono in piedi e se ne andarono, visibilmente irritate, mentre le altre donne applaudivano quel gesto plateale. I due amici ripararono nelle proprie camere.
Che fare dunque? Il Maestro modificò il disegno: la donna davanti al computer a masturbarsi e l’uomo che tentava con scarsa fortuna di offrire la striminzita mammella per allattare il bimbo in lacrime. C’era qualcosa che non andava. Il Maestro con un sospiro mise da parte la grafica, andò a coricarsi e provò a dormirci sopra.
La stanza da gioco del piccolo era una macelleria. Un Pollock perverso sembrava aver agito un’action painting con le interiora di una balena gigante. Capelli sanguinolenti scivolavano lenti da uno scalpo esploso sui vetri della finestra, misti a grumi di sostanza cerebrale. Dappertutto schegge di ossa e minuzzoli di organi interni. Dripping di liquidi giallastri e penetranti sulla carta da parati. La moquette grigia schizzata di umore scuro, brandelli di carne e tracce di peluria. Frammenti curvi di costole. Un insopportabile tanfo di liquidi e secrezioni interne. Vasti brani di epidermide in matasse aggrovigliate su una gamba simile a un’enorme salsiccia deflagrata, un coccio di cranio scarnificato con un brandello di lingua attaccata penzoloni a un rimasuglio di mandibola.
Per il resto tutto sembrava intatto. Il bambino autistico ad alto funzionamento, che a quattro anni era già in grado di programmare a una velocità sconcertante decine di server, tornò a sedersi davanti al monitor. Ondeggiando avanti e indietro. Ripetendo una cantilena apparentemente senza senso: “Perché ti vendichi Omar perché ti vendichi Omar”.
Il bimbo aveva lasciato la stanza un attimo prima che il corpo del padre esplodesse, restando sulla soglia a guardare lo spettacolo.
Fermo sull’uscio della stanza da gioco, il detective cercò di analizzare la situazione, ma gli parve impossibile tirarci fuori qualcosa di sensato. Con un brivido di raccapriccio si allontanò in direzione del soggiorno, attiguo alla stanza. Qui Miss C. stava seduta su una poltrona rosa, impietrita. Comprensibilmente in stato di shock. Un uomo in camice bianco le aveva appena fatto un’iniezione di sedativi. Tre agenti della scientifica si misero a schedare le prove, mentre il piccolo, distante e innocuo nel suo castello psicotico, continuava a giocare allo sparatutto preferito, bene in vista davanti alla porta aperta. Il tanfo ora invadeva anche il soggiorno. Il medico che assisteva la donna fece un cenno all’investigatore: adesso poteva provare a fare qualche domanda alla donna.
Il detective andò dritto al punto: «È lui l’unico testimone?».
La donna annuì con lo sguardo smarrito in direzione del figlio che ripeteva: «Perché ti vendichi Omar perché ti vendichi Omar».
La madre sussurrò che si trattava di una ecolalia. Il bambino avrebbe potuto spiegare ogni cosa solo se un miracolo gli avesse concesso di abbandonare per un attimo l’Iperuranio in cui viveva placido fin dalla nascita e avesse deciso di comunicare col mondo. «Sì... un miracolo» mormorò Miss C. tra le labbra tremanti, con la commozione che le inumidiva gli occhi chiari.
Piccolo moccioso, che diavolo hai in quella testolina?, pensò il poliziotto. Il bimbo si azzittì di colpo. Poi, alzando la testa gialla lo guardò negli occhi e disse: «Lo rifarò», con la voce profonda di un adulto e un accento orientale che gelò il detective.
Miss C. trasalì, impaurita e meravigliata, come se una fortezza vuota da secoli di punto in bianco fosse stata sul punto di animarsi. Ma il piccolo autistico ritornò al suo Iperuranio.
La casa piombò in un sinistro silenzio di morte interrotto solo dal set di effetti audio dello sparatutto.
Il Maestro si risvegliò in un bagno di sudore. Tutto questo era avvenuto dieci anni prima.