Il problema delle marmellate è quando finiscono.
Ma non perché finiscono, e poi devo ricomprarle, bensì per le riflessioni verso cui mi conducono, inevitabilmente. Vedere tanti barattoli di vetro - ognuno con un livello diverso di marmellata residua - mi porta sempre a fare il punto della nostra relazione, perché di relazione si tratta, a questo punto.
Ogni volta che apro il frigorifero stanno lì, impettite, tutte in prima fila, che mi guardano, colorate e tentatrici.
E certe volte si muovono, perfino, come se volessero farsi avanti, o ritrarsi.
Non l'ho ancora capito.
Dapprima pensavo che fosse la porta del frigorifero, a spostarle, col suo movimento di apertura. Ma succede anche quando la porta rimane aperta: me ne sto lì, imbambolato, piegato verso di loro, per capire quale scegliere, e poi capita che sento uno stridìo vitreo: uno "Tic strick" che spesso continua, per alcuni secondi, assumendo varie forme sonore: "Strik tic... striiik... tiiic... tic tic... strik... " finché non prendo un barattolo in mano. Allora tutto si placa, le altre marmellate accettano la mia scelta, di buon grado, e si ricompongono.
Poi spalmo la prescelta sul pane, quasi sempre tostato, e comincio la giornata nel migliore dei modi.
Così sono diventate il mio piccolo harem, le marmellate, e io un sultano crucco, che si delizia coi loro sapori, sempre diversi e appaganti.
In questo momento ho una relazione saltuaria con nove marmellate diverse, più una: lampone, fragoline di bosco, ribes rosso, sambuco, bergamotto, mandarino, fico d'india, albicocca, pesca. E poi la marmellata di fichi e limone, la più sorprendente, per certi versi.
Idealmente, sarei portato a farne un uso bilanciato, equo, quasi democratico, ma poi finisce sempre che ne preferisco alcune, a detrimento di altre, in base agli umori del risveglio.
Dopo una dormita soddisfacente, tendo verso i frutti di bosco, più sottili e mitteleuropei, adatti a stimolare le sinapsi più impensate, ma sempre sobrie, condotte lungo il filo della ragione. Se invece ho fatto dei sogni strani, mi rivolgo agli agrumi, che mi aiutano a sbrogliarli, con quell'aciditá residua, corroborante e rabdomantica, a suo modo. Quando poi ho dormito male, sono sempre indeciso tra il fico d'india, l'albicocca e la pesca, per compensare il malumore. Il fico d'india è medio orientale, sa di sole sabbioso e mare azzurro, appena salino. L'albicocca mi sorprende, con quella dolcezza acuta e la consistenza della sua buccia, quasi croccante, come un capezzolo non troppo maturo, mentre la pesca è diversamente dolce, ha un sapore di labbra morbide che ti si sciolgono in bocca, succose di voglia.
E poi c'è la marmellata di fico e limone, malandrina, con quella sua dolcezza esuberante e assai carnale, moderata però dalla buccia di limone, che riesce a contenerla, cosicché nessuna delle due prenda il sopravvento. E un po' l'asso nella manica, il jolly delle marmellate, quel gusto che risolve, quando non sai come risolvere.
Tutto questo me lo ricordo perché prendo appunti, annotando scrupolosamente le sensazioni che ogni marmellata mi trasmette.
Ormai non ho più problemi, con le marmellate, tanto che sto pensando allo step successivo: in poche parole, ho deciso di invitare qualche ragazza a colazione, per un primo pasto come si deve.
Mi sembra una buona idea, perché ho passato anni a invitarle a cena, a pranzo, e perfino a merenda, le ragazze, ma non ha mai funzionato. C'era sempre qualcosa che si metteva di traverso, un'insoddisfazione bilaterale che minava ogni relazione sul nascere: una parola inadatta al momento, un momento inadatto a quelle parole, un silenzio inopportuno proprio quando le parole avrebbero potuto fare la differenza, troppe parole in un momento troppo intimo, per essere commentato.
Ma la colazione è un'altra cosa, rappresenta un momento delicato nell'economia esistenziale quotidiana, un punto di partenza dal quale possiamo salpare col vento in poppa, se scegliamo la marmellata giusta.
Stamattina ho finito la marmellata di bergamotto, perché avevo sognato mia madre.
Mi raccontava sempre di quando, in tempo di guerra, ad Amburgo, era uso comune versare un pò d'acqua di rubinetto nel barattolo pressoché vuoto della marmellata, rimettere il coperchio, e poi agitarlo, energicamente, per ottenere una "Marmeladenwasser" (acqua di marmellata) molto simile a un succo di frutta, e molto apprezzata dai bambini di allora.
Lo psicanalista sostiene che nostra madre è la prima donna che impariamo a conoscere, e sulla quale si modella una buona parte di ciò che cerchiamo, noi maschietti, in una donna. Oppure finisce che cerchiamo il contrario, per non dover uccidere nostro padre, nei ricordi.
Però ho finito anche quella di fico d'india, alla quale non ho resistito, per raddrizzare la mattinata. Ma c'è sempre la marmellata al fico e limone, quella malandrina, che risolve, quando non sai come risolvere. Vivaddio.