"Più la pietra viene lanciata alta con la fionda verso il cielo, più ricadendo farà male a colui che l'ha lanciata." Fu con questo pensiero che Moshé si allontanò dal gruppetto degli anziani e si diresse verso la sua tenda. Questa era montata ad est dell'accampamento, direttamente in vista del mare. Vi si ritirò per meditare sulla situazione, non prima di aver chiacchierato amabilmente con le guardie di turno. Scambiò anche un sorriso complice con un bambino, nascosto per gioco tra la tenda e la giara dell'acqua per le abluzioni.
Appena entrato, lo avvolse il profumo dell'incenso che continuamente veniva lasciato bruciare. Di solito lo gradiva, ma vicino al mare avrebbe preferito sentire l'odore della salsedine trascinata dalla brezza. Si distese sul tappeto supino e la sua mente vagò senza meta prima che il flusso dei pensieri assumesse forma compiuta.
L'idea dell'incenso era stata di Aharon. "Creerà attorno a te un'aura di sacralità, e tutti capiranno che tu parli con Dio" aveva detto con schiettezza. Aharon sapeva che giocare con le parole e trasfigurare la realtà in immagini evocative con lui non attecchiva.
Con tutto ciò, si era servito in abbondanza della sua capacità oratoria sin dal tempo in cui era venuto a visitarlo nel suo esilio nomade. Arrivò accompagnato da una delegazione della corporazione edile egiziana.
In quell'occasione Moshé gli aveva raccontato di come aveva condotto il gregge, del suo arrivo ai piedi del Sinai in una radura, del roveto che lì resisteva al bruciare del sole. Di come questo gli aveva fatto pensare alla sua gente in Egitto. In quel luogo la convinzione giovanile era riaffiorata: gli schiavi dovevano essere liberati. Aharon aveva ascoltato con occhi che man mano si illuminavano. E quando Moshé aveva spiegato di come aveva maturato che il dio di cui raccontava loro padre fosse l'unico vero Dio, non sopra ma al posto di tutti gli dei, compreso Aton, che pure aveva adorato sopra gli altri alla corte del Faraone, Aharon lo abbracciò commosso. Aveva aspettato il suo turno per parlare e la scelta si era rivelata vincente. Gli disse la verità: non di sua volontà era venuto presso di lui, ma su richiesta degli edili. Ormai erano diventati numerosi e mal sopportavano la presenza del popolo ebraico. Grazie alla disponibilità di quegli schiavi, il Faraone respingeva ogni loro richiesta. I loro portavoce gli espressero il timore che frange esasperate maturassero propositi di violenza. Per una congiunzione favorevole l'interesse di entrambi volgeva nella stessa direzione. A quell'incontro ne seguirono altri. Furono mesi di lavorio nascosto: creare l'aspettativa del suo ritorno, evocare la potenza di un dio ignoto, instillare la convinzione negli schiavi di essere un popolo e nel faraone incutere un primo seme di timore da far crescere poi. Non fu un'opera semplice. Il suo ingresso in Egitto venne preparato al minimo dettaglio, trionfale quel che bastava per meritare una convocazione dal Faraone e contemporaneamente assumere il ruolo di portavoce di quell'accozzaglia informe di genti che si cominciava a chiamare ebrei.
La voce di Aharon era stata fondamentale. Aveva raccontato la sua illuminazione del Sinai come un dialogo con Dio stesso, un dio che solo era "colui che è". Aveva ricostruito la storia a partire da antenati remoti: Abramo, Isacco e Giacobbe che già erano tradizione di padre in figlio. Ma il colpo di genio gli venne a seguito dell'incontro col faraone. I sacerdoti avevano liberato un serpente e Moshé gli aveva lanciato contro un bastone. L'urto ne aveva divaricato l'estremità, mentre il serpente fuggiva per una fessura del muro. Aiutato dai collaboratori egiziani e dalla sua arte affabulatoria, Aharon convinse tutti che il serpente era stato fagocitato dal bastone, come dimostravano le due teste sulla punta. Man mano che il tempo passava, sul bastone si concentrò l'aspettativa miracolistica ed il timore reverenziale. Questa venne esaltata il giorno in cui con con la verga smosse alcune carcasse immerse nel fondo del fiume e piccole chiazze di sangue si sparsero sull'acqua. Pochi giorni dopo sulla bocca di tutti l'intero fiume era stato convertito in sangue. Di lì in poi fu un piano inclinato. Semplici eventi della natura vennero riletti come eventi straordinari: cavallette, eclissi, grandine... E quando un'epidemia colpì gli egiziani, ormai erano pronti a credere che fosse opera del dio ebraico.
Così il faraone alla morte del figlio si convinse a lasciarli partire.
Poco dopo uno dei portavoce edili, ingannato dalle stesse illusioni che aveva contribuito a creare, acceso d'ira per la morte della figlia, aveva svelato il piano al Faraone. Ed ora questi era vicino, pronto alla vendetta.
Moshé si arrese. Ormai il suo sogno si era infranto. Il dio in cui aveva creduto non esisteva. Il popolo era perduto.
Uscì che era notte. Si era alzato il vento. Le luci degli egiziani illuminavano l'orizzonte come colonne di fuoco. Si avvicinò al mare e stancamente vi immerse il bastone.