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Dalla corrosa balza
ove s'immette oriente,
come ogni alba
ti rivedo
calanco scorticato dalle furie
- qual osso nudo
ove non cresce più
cespo né arbusto -
inerte sempre all'apparir del giorno.
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Forse, così spoglio,
più non provi meraviglia
né di cancellar ti sforzi
- com'altri fa -
con muri di certezza
il terrore imprevisto che t'assale.
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Abbandonata - com'hai - la profezia
sicura, pronta ad impedire
gli inattesi eventi
cangevoli ogni giorno,
oggi ti vedo e sento
che il tuo pensiero ha un rinnovato
corso.
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La voglia che niente d'amato
nel Nulla più si estingua
ti appare adesso come un'alba chiara
col volto del dolore.
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Pur se saperlo non toglie il tuo soffrire,
puoi cantare il patire
e il mutamento. E "Pur ti gioverà
il noverar l'etate del tuo dolore".
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Ma non saran le parole del tuo canto
a darti breve pace.
Lo sarà la forza loro smisurata,
il timbro superbo della voce.
Già in questo gesto è forza,
già per un po'
in questo dire il tuo soffrir si placa.