Il vecchio rotolò sul materasso per sgusciare fuori dalle coperte, senza fare rumore e senza scuotere il letto. Non voleva svegliare sua moglie.
Lei, in realtà, era già sveglia. Con gli occhi socchiusi controllò l’ombra lunga e spigolosa di suo marito. Lui urtò la pila di libri che tiene di fianco al letto, e sottovoce disse: «Sssh!» al suo piede sinistro che non controlla più tanto bene dopo il secondo ictus. Entrò in bagno. Silenzio. Lei stava per chiedere Tutto bene? ma sentì il rumore di svuotamento della vescica e si raggomitolò sotto le coperte.
Lui si infilò la vestaglia sopra il pigiama, prese il bastone, mise le pantofole e uscì.
Mentre chiudeva la porta sentì lei farfugliare: «A dopo Clint.»
Lui si fa chiamare Clint perché da giovane faceva la controfigura a Cinecittà; aveva girato tre film insieme al signor Eastwood di cui divenne amico e grande ammiratore.
Tutte le sacrosante mattine fa la sua passeggiata, anche quando piove: si mette l’impermeabile e va fino al piccolo supermercato.
In ascensore accarezzò il calcio della pistola 44 Magnum infilata nella tasca destra.
«Porta fortuna, perbacco!» dice sempre.
Serviva per i film e gliela regalarono i colleghi quando smise di lavorare per il cinema, l’aveva in bella mostra nel chiosco comprato con suo cugino: Piadine da Callaghan.
Vicino al cancello afferrò il suo carrello della spesa, lo usa come deambulatore, perché si vergogna a farsi vedere con il bastone.
Alla cassa del supermercato c’era la commessa sempre troppo truccata:
«Buongiorno! Come andiamo! Vuole i punti per la raccolta?»
«Bene. No.»
«Due d’acqua e una lattina di birra? Vuole fare una festa?»
«No. Salve.»
Quattro parole di circostanza mentre pensava “Perbacco, oggi vado di fretta signorina.”
Non si fermò sulla solita panchina, ma proseguì lungo il viale ciclabile.
Doveva arrivare in fondo, dove c’è il cimitero, dal suo amico Dino morto da un mese.
Clint non riusciva a dimenticare quel pomeriggio. Dino aveva fatto la prima mossa della consueta partita a scacchi, faceva sempre quella: pedone in C4. Tolse la mano dal pezzo e si accasciò sulla sedia. Perbacco!
Il viale è un lungo corridoio tra da due file di alberi.
Clint partì, con passo quasi sicuro, tra il profumo dei tigli e le colline all’orizzonte.
Sul lato sinistro quattordici panchine, a fianco delle effigi in ceramica della Via Crucis. Una panchina alla volta. Facile.
Alla quarta panchina era già in affanno. Il peso del carrello, il caldo e la leggera salita avevano cancellato il suo vigore iniziale: la vestaglia scesa da una spalla mostrava la canottiera, la bocca deformata in una smorfia di fatica e le palpebre basse a controllare il piede sinistro che strisciava: si era formato un buco nella pantofola e il tallone sfregava sull’asfalto.
Incrociò alcuni camminatori e si sentì addosso il loro lo sguardo, allora cercò di drizzare la schiena e mostrare un leggero sorriso: non voleva che si preoccupassero interrompendo il suo viaggio.
Alla settima panchina la ruota posteriore destra del carrello smise di girare. Provò a smuoverla ma non ci riuscì. Si sedette. “Diamine, proprio oggi”, sospirò a occhi chiusi.
Sentì il suo piede sinistro muoversi da solo e con uno scatto guardò in basso. Una mano lo stava tirando per il fondo dei pantaloni.
«Signore. Non volevo spaventarla, signore.»
Da sotto alla panchina uscì un bambino con la faccia sporca, disse:
«Mi stavo nascondendo da due tipi che mi vogliono picchiare.»
«Diamine!» disse Clint
«Ci vuole lo sputo» disse il bambino
«Come?» chiese Clint.
«Per sbloccarla.»
Il bambino sputò sulla ruota del carrello e la fece girare con le mani.
«Ecco fatto signore, adesso va. Io mi chiamo Cesare.»
Clint strinse la mano al suo salvatore che indicò due puntini distanti: «Sono quelli là i due che mi cercano.»
«Perbacco! Se vuoi puoi venire con me fino al cimitero» propose Clint. La spinta di Cesare sul carrello gli fece quasi perdere la presa.
Il bambino parlava e parlava, diceva che non sembra ma che lui è forte e che i suoi compagni lo prendono in giro perché è strano e che sua mamma gli vuole tanto bene e che non deve starli ad ascoltare e che…
Frastornato da tutte quelle parole Clint non si accorse della fatica, né del piede sinistro che sanguinava.
«Signore ho io la cura» disse Cesare, e sputò sul fazzoletto che legò attorno al piede ferito. Il bendaggio funzionava. “Benedetta saliva.”
Clint cercava di convincere il suo corpo a proseguire: “Nient’altro che un passo. Ancora solo un passo...”
Con le gambe sfinite arrivò all’ingresso del cimitero. Guardò fisso Cristo nel sepolcro, quattordicesima e ultima tappa della Via Crucis.
«Cosa succede signore?» chiese Cesare.
«Siamo arrivati...credo», disse Clint emozionato.
«Entriamo?»
«Dino mi sente anche da qui, se grido.»
Clint prese la birra dal carrello, la stappò e alzò il braccio.
«A te Dino!», e bevve tutto in un sorso prima di dire «Pedone in E5!...in contromossa.»
Pianse. Seduto in silenzio, guardò le sue mani, il bambino di fianco a sé e il viale.
Mani. Bambino. Viale. Birra.
Si addormentò e sognò di estrarre la 44 Magnum mentre diceva ai due bulli:
«Avete mai fatto caso che ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto incazz...”
Si svegliò prima di finire la frase. Aprì gli occhi uno per volta mentre due ragazzi gli parlavano, dovettero ripetere prima che capisse.
«Tutto bene signore?» disse il più brutto dei due.
«Possiamo aiutarla?» disse quello con la faccia buona.
«Perbacco! Voi chi siete? Cesare! Dov'è Cesare?»
«Chi è Cesare?» chiese il brutto.
Clint provò a ricordarsi dove era e chi era. Raccontò del viaggio e del bambino che lo aveva aiutato. Di Cesare, però, nessuna traccia. Scomparso.
Nelle tasche della vestaglia non trovò la 44 Magnum, e nemmeno il portafogli, ma un piccolo biglietto: Mi scusi signore.
A Clint scappò da ridere. “Cesare...il cattivo. Perbacco. Buggerato da un bambino.”
Smise di ridere e si rattrappì sulla panchina: niente più profumo di tigli e colline all’orizzonte, solo sudore freddo sulla pelle e amara umiliazione. Rimase immobile senza parlare per alcuni minuti, poi chiese a bassa voce:
«Mi potete portare a casa da mia moglie, per piacere?»
Il ragazzo brutto e il ragazzo buono si guardarono.
Lei era alla finestra con la testa appoggiata al vetro. Si mordicchiava le nocche delle mani.
Quando vide arrivare due ragazzi che spingevano il carrello, i suoi occhi si inumidirono di lacrime. Sul fondo del carrello c’era la vestaglia riempita a malapena da Clint.
Lei stava per gridare ma lui le mostrò il pollice alzato, la fissò mentre i ragazzi lo aiutavano a uscire, li salutò e prese il suo bastone.
Lei aprì la porta e si trovò di fronte la faccia di Clint scavata dalla fatica, felice e triste allo stesso tempo.
«Dove sei stato? Non tornavi, avevo paura che…»
«Scusa non lo faccio più» e le diede un bacio da ragazzino colpevole.
La prese sottobraccio e si fece accompagnare a letto, cominciò a raccontare del suo viaggio ma dopo poche parole si addormentò.
Lei lo baciò sulla spalla, e si rannicchiò abbracciata a lui.