Partendo dalla città arrivo fino al paese in volata. Poi, dopo la piazza principale, mentre dall'entrata della Chiesa escono i fedeli sciccosi, proseguo girando a destra, verso la traversa che mi immette nella strada parallela. Attraverso la strettoia, andando piano, per evitare l'auto che potrebbe arrivare in senso contrario. Non si sa mai.
A destra il castello abbandonato, a sinistra le prime ville della Borgata Serra. Proseguo lungo i pendii delle colline: è tutto un fiorire di margherite, mentre tiro giù il finestrino ed aspiro l'aria. I morti mi vengono incontro come quando ero ragazza.
Ci sono tutti: la signora Margherita che si occupava del telefono a scatti. Viveva coi gatti a decine ed il loro fetore, ed io entravo in casa sua solo perché non c'era altro modo di telefonare alle mie amiche in città. Cesco stava rientrando in cascina sul trattore verde: ossuto, in canottiera azzurra e le mani d'acciaio. Sapeva di letame misto a profumo di Marsiglia. Quando entravo a casa sua, vedevo il pintone sempre mezzo vuoto ed i bicchieri color vinaccia, anche dopo che li aveva lavati sua sorella Lina, che era così gobba che arrivava a toccare il pavimento con le mani. Era storta, come la sua vita. Riconosco a malapena Riccardo, con le sue labbra cianotiche di quando finiva di nuotare nella piscina di Ciano con le alghe e la sua bozza sul cuore. Gli avevo detto di farsi vedere, quando poi avevo iniziato a studiare medicina, ma probabilmente lo sapeva già che non ce l'avrebbe fatta. Poi ecco Paolo che sfreccia sulla moto tremenda. Vincemmo insieme i giochi d'acqua, gli ultimi giochi estivi per borgata Serra, prima che si trovasse la ragazza e caddessero insieme su quella panchina di cemento armato.
Arrivo dopo l'ultima curva, verso l'apice della collina. Da lì la strada diventa sterrata e le pietroline saltano sotto al motore con un rumore secco, ad ogni giro di gomme. Proseguo piano, in prima.
La casa sarebbe dovuta essere deserta, con le gelosie chiuse.
Invece Mami mi viene incontro, dal vialetto in pietra di Luserna che arriva al cancelletto. Degli altri sapevo, di lei non mi avevano detto niente. Aspettavo che mio padre morisse per passare di nuovo del tempo insieme a lei. Invece mi sorride, felice. Le mancano ancora i due denti davanti che le avevo tanto raccomandato di farsi aggiustare prima di lasciare casa nel 1994. I capelli sono biondi e ispidi, come di chi ha abusato per anni di tinte all'ammoniaca fatte in casa, alla sera, dopo che mi aveva messa a dormire. Si muove veloce in giardino, a raccogliere erba per i conigli.
Tiro giù il finestrino e fermo l'auto. "Mami? Che ci fai qui?", chiedo. "Ti ho aspettata tanto, sai?" mi dice.
"Scusami, sono arrivata in ritardo. Con questa mia faccenda di pensare che ci sia sempre tempo per tutto. Che i cerchi si chiudano da soli, prima o poi" rispondo.
"Non vuoi sapere cosa mi è successo?" mi chiede poi. "Se vuoi proprio dirmelo, fai pure. Ero venuta a vedere la casa, mi mancavi un po', a dirla tutta".
"È stato tremendo fare la chemio ed il dolore, ma mai come non vederti piu' "mi risponde. "Non mi hanno detto niente" dico, affranta. "Lo so, tuo padre non ha voluto".
"Adesso ti dissolverai come gli altri, senza che io possa farci niente?" chiedo con le lacrime che spingono per restare dentro.
"Si, come gli altri. Non abbiamo più del tempo che ci hanno concesso”.
" Mi dispiace, lo terrò a mente per tutti gli altri che sono ancora sono in vita" le dico, mentre mi porge un soffione di quelli che adoravo da bambina.
"Tuo padre ti aspetta, con lui il tempo non è finito", aggiunge poi. "Può darsi che un giorno passi, anche se non se lo merita. Non ho voglia di trovarmelo qui " rispondo.
"Mami?"
"Sì? "
"Non ti ho detto una cosa "
"Dimmela ora"
"Ti ho amata tanto "
E mi svegliai.