Il velo della notte andava scomparendo, il nero lentamente sfumava in tonalità di blu, i contorni dei palazzi su Rue Luise Michel si definivano creando linee ferme di divisione fra il cielo e la terra. La luce ancora timida entrava delicatamente nelle finestre dei piani superiori degli edifici e ne intiepidiva le mura. Un primo tenue raggio si rifletteva sul sottile strato d’acqua, che era l’unica prova della pioggia caduta nelle tenebre. Timidi cinguettii facevano eco tra le facciate dando il buongiorno al sole e augurando la buonanotte alla luna.
Dall’uscita della metro spuntavano come violette a primavera i passeggeri arrivati al termine della loro corsa, che poi si sparpagliavano in diverse direzioni ognuno seguendo la propria linea invisibile di rotaie. L’uomo si fermava appena uscito accanto ad un’edicola, dove una donna stava sistemando con metodo l’edizione mattutina del giornale. Lui alzava gli occhi verso il cielo e inspirava profondamente l’aria fresca. Un tenue vento gli sciacquava il sonno dal viso e le enormi occhiaie sembravano meno ingombranti mentre le pupille si restringevano abituandosi all’uscita dalle tenebre.
Un intero appartamento stava ammassato all’angolo tra rue president Wilson e rue Luise Michel. Sedie rotte, cuscini stracciati, un tavolo a cui restavano solo 2 gambe, un divano che doveva aver partecipato ad una sparatoria, due vecchie librerie inzuppate e piene di crepe, uno stendibiancheria pieghevole che sembrava essersi piegato troppe volte e, in cima a tutto, un cesso bianco cenere senza tavoletta in equilibrio sul cumulo come un funambolo sulla sua corda. Passandoci davanti l’uomo non notava l’ammasso di mobilio vecchio, distratto dal levare del sole, con gli occhi fissi sul fondo della strada dove sopra i tetti i colori si mescolavano nel cielo passando dal giallo ad un delicato arancione per poi esplodere in un blu che poteva ricordare quello delle sedie della stazione metro di Stalingrad. I lampioni lungo la strada erano ancora accesi e uno sguardo fuggevole avrebbe potuto vedere, al posto del freddo palo con lampadine in cima, un caldo tronco sormontato da un grappolo di frutti dal nucleo incandescente. L’uomo ci passava accanto e gli donava uno sguardo per poi svoltare a destra in rue Jules Guesde, dove i raggi arrivavano vergini sul cemento e per la prima volta toccavano anche la pelle di lui. Le ombre della notte si ritraevano da sotto gli occhi e il suo pallore mutava in uno speranzoso rosa pesca, gli zigomi si stendevano al calore mattutino e le labbra tese si rilassavano. Fiori rosa di magnolia stavano appesi sui rami, mossi dal vento, e mentre l’uomo ci passava sotto, un’onda gli increspava il viso, navigando tra un orecchio e l’altro. Lui svoltava a sinistra su rue d’Alsace, un passo dopo l’altro percorreva cento metri e svoltava a destra per poi ritrovarsi davanti una porta in ferro, che una volta doveva avere un color marrone intenso, ma che ora altro non era che un insieme di croste di vernice vecchia, che bastava sfiorarle per farle cadere al suolo e sbriciolarle, riducendole in polvere. Mettendo una mano in tasca estraeva un mazzo di chiavi, ne infilava una nella fessura dell’uscio, la girava e tirava a se l’anta pesante.
A metà tra la luce ed il buio l’uomo voltava il suo sguardo, come a cercare qualcosa, e finiva con il guardare dritto negli occhi un uccellino, non più grande di un pugno, che gli svolazzava davanti incuriosito. Un sorriso si allargava sul viso di lui come una macchia d’olio si espande sull’acqua e nei suoi occhi scoccava una scintilla mentre ritornava sui suoi passi e si esponeva completamente alla luce del giorno. L’animale si fermava ancora per qualche secondo a svolazzare leggero, sospeso nel vuoto, per poi lasciarsi trasportare via da una corrente d’aria. I profondi bulbi oculari dell’uomo fissavano il fluido movimento delle ali che si allontanavano.
L’uscio si chiudeva sbattendo e nessuno scendeva le scale mentre l’eco rimbalzava da una parete all’altra nel corridoio illuminato da una fredda luce bianca.