Quando Emily, soppesando le parole e con il tono di annunciare una decisione meditata e sofferta, disse che forse era il caso di sostituire le tende del soggiorno, Bernie, sulla poltrona nel bovindo, era immerso nella lettura di un quotidiano sportivo. Sollevò appena gli occhi dal giornale, come emergesse dall’acqua, e lanciò un grugnito prolungato, che nel suo linguaggio significava: cos’hai di nuovo? Cos’è questa storia delle tende? Non hai sentito che i Cubs incontrano i Red Socks?
Da quando era andato in pensione dalle Poste, Bernie dedicava tutto il suo tempo alla passione per il baseball e alternava le dirette televisive degli incontri con la lettura dei commenti sportivi, in una correlazione, a suo avviso, perfetta. Le uniche distrazioni erano accordate per qualche birra al bar con i pochi, vecchi amici e per il pollo fritto, che solo Emily sapeva cucinare così croccante.
- Allora non lo sai di Jack? – chiese Emily con supponenza.
- Jack chi? – Bernie arricciò il naso.
- Il serial killer, no? Lo chiamano così per via di Jack lo squartatore. Oh, è terribile.
- E che farebbe questo Jack? – posò il giornale sulle ginocchia.
- Le uccide, le fa a pezzi – disse con ovvietà – Entra nelle case. Dalle finestre. Dalle porte. Dagli abbaini. E se trova una donna sola, la violenta e la uccide. Ci vorrebbero tende pesanti, ecco. Non far vedere che una donna è sola in casa.
- Dunque, tu potresti essere la prossima vittima di Jack – rise sguaiatamente. Poi, contrariato, centrò lo sguardo sul tavolino vuoto.
- Ho capito ho capito, ora ti porto il tè – Emily andò via sdegnata.
- Ah, non te l’ho detto – cinguettò dalla cucina – sabato vengono qui i White.
- Chi?
- I White.
- Qui dove?
- Da noi, li ho invitati io. Sono appena tornati dalla Florida. Hanno telefonato ieri. Non è stupendo?
- No. Non è possibile. Io non voglio nessuno. Disdici subito. E poi sabato ci sono i Cubs.
- Ma li ho già invitati. Non posso dire… scusate, non venite più.
- Chi se ne frega dei tuoi White. Non posso starmene in pace alla televisione, eh? Vorrà dire che me ne andrò io – tuonò furibondo.
Dalla cucina, adesso, giungeva solo silenzio.
- Mi levo di torno, intesi? Andrò allo stadio e tu ti sorbirai i White.
Emily rientrò nel soggiorno con una tazza di tè fumante e, senza parlare, la poggiò bruscamente sul tavolino basso. Il tè ondeggiò, tracimò dal bordo e inondò il piattino. Il manico della tazza non era rivolto verso Bernie, come lui pretendeva, ma stranamente girato nella direzione opposta.
Le tende pesanti per il salotto non arrivarono. In compenso arrivò una pistola, una Browning calibro 9 semiautomatica, acquistata da Bernie dall’armaiolo più vicino. Emily l’aveva pretesa per difendersi da Jack quando Bernie non fosse stato in casa. Emily scartò il pacco e prese la pistola con la punta delle dita, disinvolta come se maneggiasse un serpente a sonagli.
- Dammi qua – gracchiò Bernie strappandogliela di mano. Si mise a scarrellare, estrasse il caricatore, lo rinfilò con ostentata dimestichezza.
- Lo vedi come si impugna? – e puntò la pistola contro Emily.
- Dio mio, Bernie, che ti prende, stai bene?
- E’ scarica, non lo sai? – rise di gusto – E’ vero, queste non sono cose da donnette. Mi ricordo quando, nei Marines… Comunque scarica non ti serve.
Sventrò l’involucro delle munizioni e cacciò i proiettili nel caricatore.
- Nel cassetto del mobile in soggiorno, okay? – con una strizzata d’occhio le porse la pistola – E quando arriva Jack: bum bum, senza sporcare troppo il tappeto – e uscì sbattendo la porta.
- Soldi buttati, vorrei sapere… – Emily udì la voce perdersi in lontananza. Non distoglieva lo sguardo dalla pistola poggiata sul palmo tremante.
La casa di Emily e Bernie, nella sterminata periferia di Chicago, era simile a mille altre: a due piani, di legno verniciato di bianco, preceduta da una veranda e circondata da un giardinetto. Nella strada silenziosa un sobrio benessere emanava dalle villette che la fiancheggiavano. Ma, ad una più attenta osservazione, qualcosa balzava agli occhi. La loro casa stonava rispetto alle altre. Forse la vernice scrostata, il prato incolto, la staccionata cadente? Forse l’odore rancido di un malessere covato da tempo, impastato di indifferenza e rancore, impregnava il terreno e fuggiva da sotto le porte?
Parallelo, sul retro, correva un vialetto lurido con pali della luce storti e cavi ciondoloni, sconnesse porte di garage, bidoni colmi di immondizia. Il decoro del davanti si snaturava nel degrado del retro. Lasciava presagire che la vita dei suoi abitanti, all’apparenza serena e pacifica, nascondesse meschinità e abiezioni. Una doppiezza inquietante.
Quella sera stessa, dopo cena, Bernie annunciò che sarebbe andato a bere una birra con gli amici.
- Giusto per gli ultimi dettagli della sfida con i Red Socks – e insinuò tra le labbra un sorriso malizioso.
Emily non capì il motivo e annuì in silenzio. Mai chiedere spiegazioni o contrariarlo.
Si trovò sola in quella casa, che subito le parve enorme e disabitata. Da quando i figli avevano preso la loro strada e il rapporto con Bernie si era inaridito come uno storto ramo in inverno, la casa vuota assumeva forme bizzarre e mostruose. Rabbrividì e si accucciò nella poltrona con la coperta sulle gambe. Accese la televisione. Con una tensione crescente, si alzò per avere la pistola a portata di mano. Era carica, e la poggiò con cautela sul tavolino da tè. Poi, in preda all’angoscia, schizzò in piedi, prese il necessario per dipingersi le unghie: da sempre trovava la cosa molto rilassante. Facendo zapping, capitò sul telegiornale della CNN: si parlava di un nuovo omicidio.
Era avvenuto non molte ore prima, e non lontano da lì. Dalle riprese televisive e dalle accorate interviste si delineava nella testa di Emily la figura della vittima con una storia non molto diversa dalla sua: una donna non più giovane, non più bella, sola, uccisa nella casa dove viveva. Il cronista impacciato lasciava intuire i particolari più cruenti, che si ingigantivano invece nella mente di Emily, e disegnavano lunghe ombre sulle pareti del soggiorno, ombre di un color rosso sangue.
– Potrebbe colpire di nuovo – diceva il cronista. Sottinteso che si parlasse di Jack.
Emily si sentì indifesa come dentro un guscio di carta. Spense la televisione e, con il cuore che bussava alla gola, prese a limarsi selvaggiamente le unghie. Ci fosse almeno Bernie, pensò. Con rabbia constatò che, per una volta, ne sentiva la mancanza.
In quel momento avvertì dei rumori che giungevano dalla cantina. Si bloccò come una statua di sale. Tese gli orecchi: dal sottosuolo poteva distinguere rumore di oggetti trascinati, scricchiolii del legno, cigolii di porte, gocciolio d’acqua, passi strascicati.
Il seminterrato disponeva di due accessi: uno, da una botola obliqua esterna, che un tempo serviva per caricare il carbone; l’altro, dalla porta in cucina, da cui, con una ripida scala di legno si scendeva in cantina. Qualcuno aveva forzato il lucchetto della botola esterna e si era calato nel sottosuolo. Jack. Corse in cucina e sbarrò con il paletto la porta della cantina, poi trascinò la madia e l’addossò alla porta e il tavolo alla madia. Ora i rumori si facevano più distinti, erano passi che salivano le scale. Corse in soggiorno e impugnò la pistola e si precipitò al telefono e con la mano libera compose il numero della polizia e… pronto, pronto, pronto... Niente, il telefono era muto. Non c’era comunicazione. Disperata, si appoggiò con le spalle al muro tenendo la pistola serrata tra le mani, a braccia tese. Andò via la luce. Nel buio, contro la porta a vetri dell’ingresso adesso distingueva una sagoma scura. Brandiva un oggetto lungo: un coltello acuminato?
- Chi sei? – urlò Emily.
Una voce in falsetto rispose: - sono Jack e sto cercando donne sole e appetitose per violentarle e poi farci lo spezzatino.
- Ber-nie? – emise un lungo lamento.
- Sì, Emily, il siparietto è finito. Apri, che ho bisogno di andare in bagno. Dopo la birra…
Emily spalancò la porta su un sornione ed euforico Bernie, che un po’ in colpa si doveva sentire se non restituì il ceffone rimediato di passaggio, che gli lasciò il segno delle cinque dita. La sua risposta si limitò a dei colpetti in testa a Emily con il giornale sportivo arrotolato. Nel suo gioco di ombre cinesi simulava il coltello.
Infine arrivò anche il sabato sera e un Bernie incontenibile, con berretto e sciarpa dei Cubs, si preparava per andare allo stadio. Emily, affaccendata in cucina (stava sfornando il dolce per i White), alzò gli occhi su Bernie che usciva canticchiando, e un vento polveroso s’infilò dalla porta d’ingresso, percorse soggiorno e cucina, come un folletto dispettoso fece volare i fogli delle ricette e sbattere la finestra. Si precipitò per chiuderla. Scostata la tendina, scorse Bernie che si allontanava in fretta, una mano sul cappello per difenderlo dalle folate. Non poteva sentirlo, ma sicuramente imprecava. Foglie secche si sollevavano dal prato e mulinavano nell’aria. Si annunciava tempesta. Emise un gemito che si trasformò in sospiro al pensiero della tranquilla serata che l’aspettava, in compagnia dei White.
Fu davvero piacevole quella visita, senza mugugni e sarcasmi, senza offese e umiliazioni. Senza Bernie.
Dopo che i White se ne furono andati tra ringraziamenti e abbracci, era di nuovo alla finestra (nella stanza buia, che Jack non la vedesse) a spiare il temporale che imperversava, con la pioggia pazzamente obliqua e i lampi che buttavano guizzi di luce sugli alberi spogli del viale, come spettri. Ripensava alle parole di Rose White: “che fortunata che sei, in questa casa accogliente, con un marito che ti vuole bene”, cui Emily aveva risposto con un silenzioso sorriso. Ma, dalle labbra stirate e torte, Rose avrebbe dovuto capire. Per la nausea e l’impulso di buttarsi via, si tuffò nella poltrona, e, come l’altra sera, un cigolio sinistro e uno sbattere ripetuto la sorpresero. Stavolta venivano da fuori. Corse alla finestra e vide il cancelletto del giardino sbatacchiare, eppure era sicura che i White, uscendo, l’avessero chiuso. Ma fece in tempo anche a vedere un’ombra furtiva aggirarsi nel giardino e sfuggirle girando sul lato della casa. Come una furia, dal cassetto prese la pistola che impugnò con una forza da far male. Un ticchettio, quasi il bussare su un vetro, le giunse dalla finestra sul lato.
- Sei tu, Bernie? – gridò. La risposta fu solo il silenzio e il pensiero che il vento, facendo vibrare il vetro, l’aveva ingannata. Altri picchiettii giunsero da un’altra finestra e non ebbe il coraggio di aprirla e verificare una presenza, ma quando un’ombra si disegnò contro la porta a vetri dell’ingresso, illuminata da un lampo, l’urlo che cacciò era quanto di più terrificante si potesse immaginare.
- Sei tu, Bernie? – miagolò.
Ancora una volta, l’ombra sembrava brandire una lama.
- Bernie ti prego, ti supplico, dimmi che sei tu, fatti riconoscere.
Dalla sagoma dietro la porta giungeva solo silenzio.
Quando, poco dopo mezzanotte, arrivò trafelato lo sceriffo, il temporale era già passato e due auto della polizia, ferme nel mezzo del viale con tanto di lampeggianti, bloccavano le auto. La luce rossa si specchiava sull’asfalto bagnato. Agenti inflessibili presidiavano la casa. Il nastro bianco e rosso arginava una piccola folla di curiosi. La luce della fotoelettrica illuminava Bernie, riverso sul pavimento della veranda, braccia e gambe aperte, i piedi presso la soglia del soggiorno. Dal grosso buco nero sulla fronte colava un rivolo di sangue lungo la guancia e formava una pozza sulle assi della veranda. Pezzi di vetro erano sparsi ovunque e schegge taglienti pendevano dalla porta a vetri dell’ingresso. Un giornale sportivo rotolava poco distante.
Nel soggiorno, all’affermazione dello sceriffo, Emily, sprofondata nella poltrona, la testa rovesciata all’indietro, la pistola poggiata sul tavolino basso, ripeteva senza sosta, trasognata e incredula:
- Com’è possibile? Jack e Bernie la stessa persona?