Mi dicono che sono terricola, non terrestre.
Che razzolo ma non so raccogliere, che spilucco e che becchetto, insomma, senza riuscire ad addentare alcunché, e mi chiamano Franca, la gallina che arranca.
Sono una gallina, in parole povere, ma credo di essere una gallina fortunata, visto che sto qui a raccontarvi questa storia. Eh sì, perché con la mia zampa destra riesco a tenere una biro e a scriverci tutto quello che state leggendo, chè c'ho una specie di pollice opponibile, anche se la natura mi ha dotato di sole quattro dita.
D'accordo, faccio fatica a stare in equilibrio con l'altra zampa, mentre scrivo, però mi ci sto abituando. Basta appoggiarsi al muretto dell'aia con l'ala sinistra, e ogni volta riesco a buttare giù tre o quattro parole, prima di dover fare una pausa . Ho provato anche a scrivere con la zampa sinistra, perché di braccio sono mancina, ma la biro mi scappa sempre dalle dita, chissà perché? Gli altri animali della fattoria hanno già capito che sono un pò diverso da loro, e da tempo si sono accorti che capisco e parlo perfettamente tutte le loro lingue.
Continua a suscitare un certo scalpore, che possa fare quattro chiacchiere con Rodrigo, il tacchino, per poi passare da Johnny, un bel coniglio grigio a pelo raso, e andarmene con lui a fare un giro nei campi, a mangiare foglie di papavero.
Con Johnny parliamo sempre di erbe, lui ne conosce tantissime. È un coniglio molto colto, a modo suo. Mi ha confessato che il suo cibo preferito sono le carote selvatiche. Però bisogna sradicarle dal terreno, e questo lo mette in difficoltà. Così andiamo sempre insieme, a cercarle; lui individua il ciuffo crespo della carota selvatica, ed io comincio a becchettare e a raschiare tutt'intorno, mentre Johnny mi aiuta scavando con le sue zampe.
"Ahh, se fossi un coniglio selvatico! Avrei le unghie molto più robuste, e ci metterei molto meno", mi dice ogni volta.
Io dovrei avere un paio di anni. Conservo il ricordo netto di quando sono
uscita dall'uovo, dopo aver rotto il guscio col becco, finchè sono riuscito a fare i primi passi, barcollanti, appoggiandomi sulle mie alucce per non cadere.
Poi da lì più nulla, finché, un bel giorno, guardando il vecchio cartello di lamiera che copriva la porta del pollaio, mi sono accorto di poterlo leggere con facilità:
"Acciughe sotto sale di prima qualità. Pesce italiano" rilessi a voce alta, e ricordo che Rodrigo, il tacchino, che stava sonnecchiando poco distante, si girò di scatto verso di me, scuotendo impaurito tutte le sue creste e i suoi bargigli.
A pensarci bene, non ho mai visto un'acciuga; immagino che sia un pesce piccolo, che nuota in branchi. Ma no ho mai visto neanche un pesce. So che non ha né zampe né
braccia, ma solo un occhio, da una parte, e una coda, dall'altra. Lo so perché era disegnata sul cartello.
Johnny nel frattempo era riuscito a scavare via tutta la terra intorno alla carota selvatica, e con un ultimo colpo di zampa l'aveva fatta cadere.
"Dai, facciamo metà per uno, che te la sei meritata."
"Va bene, Johnny" e con un colpo di becco ho diviso in due parti quasi uguali la carota.
A questo punto , vi sarete fatti un paio di domande, almeno spero, da brava gallina intelligente.
Vi sarete chiesti dove scrivo, e quale supporto uso. Cartaceo, d'accordo, ma faccio uso di pagine sparse oppure scrivo su una su una specie di quaderno?!
Vi dirò che le pagine sciolte non vanno bene, per due motivi fondamentali:
sono di difficile reperibilità, e faccio troppa fatica a tenerle insieme. Mi scappano dappertutto mentre scrivo, ma poco tempo fa ho scoperto una sorta di registro, che giaceva impolverato in un baule senza coperchio, in fondo al pollaio.
Le prime volte ho scritto direttamente nel baule, con una matita trovata vicino al registro, però ero scomodo, e poi c'era la polvere alta due dita, che a ogni movimento si alzava impedendomi di vedere quello che stavo scrivendo.
Allora ho chiesto aiuto a Johnny. Abbiamo unito le nostre forze, e siamo riusciti a legare una corda intorno al registro, e a tirarlo fuori, trascinandolo fino al muretto dell'aia, dove lo abbiamo sistemato sotto a una piccola tettoia di lamiera che qualcuno aveva costruito per proteggere gli attrezzi dalle intemperie.
La biro l'ho, per così dire, "raccolta", quando è caduta dalla borsa del postino che passa ogni tanto.
Adesso sono nel capanno, sotto la tettoia, che vi sto scrivendo questa storia quasi incredibile, e anche Johnny è qui, proprio accanto a me. Dice che vi saluta.
E se poi doveste sentirvi tratti in inganno dalle mie parole, sappiate che l'inganno è molto maggiore quando non accettiamo la possibilità di credere a storie del tutto inventate, pretendendo di avere cose più importanti da fare, che leggere racconti di galline che parlano e scrivono.
Chissà come scriverei, se non fossi nato gallina!?